Ho imparato che…

libreria

Il paradosso è dover sistemare così tanti libri da non avere più il tempo per leggerli.
Uh che brutta persona sono diventata uh che brutta persona…
Il consiglio del giorno: lasciarli così.

Gli effetti: pare che nel tempo si moltiplichino come quella maglietta che posi sulla sedia il lunedì sera…ripeti lo stesso gesto decine di volte e potrai sederti su una pila di magliette! Quante cose s’imparano vivendo da soli, uh quante cose uh.

Il mio concetto di ordine è: appoggiare una cosa sull’altra, osservare il risultato e a denti stretti sibilare: "Guai a te se ti muovi eh! Fermo lì, così ti ho messo, così devi rimanere!". Gli oggetti, pare incredibile, ubbidiscono.
I cani e gli uomini no.

A volte ritornano? No, sono sempre lì

Tempo fa, sulle pagine di questo blog, una gloriosa rubrica faceva capolino una volta alla settimana, più o meno. Si trattava di “Un libro alla settimana” e mi dispiace aver tradito il mio impegno.
Ho continuato a leggere, non potrei farne a meno, ma l’argomento mi ha appassionato a tal punto che ho perso la bussola. Tutto è partito da uno straordinario romanzo del 2007, Ultimo parallelo di Filippo Tuena. Quanto segue è un resoconto incompleto: le parole, questa volta, non bastano.
Se giovedì 5 novembre volete rivivere l’incredibile impresa di Scott e compagni con Tuena e noi di CaRtaCaNta, ci vediamo alle ore 21 alla libreria Mondadori di Vicenza.

Ultimo parallelo di Filippo Tuena, Rizzoli, 2007

Compito del recensore è di illustrare e giudicare criticamente uno scritto, ma questa volta il libro in questione, Ultimo parallelo mi ha sconvolto a tal punto da non riuscire, per mesi, a scriverne anche due righe.
Mi sono aggrappata all’appiglio della seconda lettura sperando di prenderne le distanze e invece sono ancora qui che procedo a tentoni come gli esploratori in balia del blizzard.
Ultimo parallelo cosa racconta e soprattutto cos’è?
Il “cosa” è Storia ovvero la tragica spedizione al polo sud guidata da Scott nel 1910-1913. Dopo aver percorso 750 miglia a piedi, Scott, Wilson, Bowers, Oates, Evans raggiungono il mitico 90° parallelo, ma la bandiera norvegese di Amundsen è piantata già da cinque settimane sulla distesa ghiacciata.
Se fosse un semplice resoconto dei fatti, avrei tra le mani un volume simile a molti altri, ma Filippo Tuena, si è spinto oltre, la quarta di copertina non mente “è un libro aspro, imprevedibile, disorientante che ha pochi paragoni nella letteratura italiana contemporanea” e qui torniamo al “cos’è”.
È una voce narrante tanto misteriosa da perderci il sonno, impalpabile presenza, l’uomo in più che procede sulla Barriera accanto ai pony, ai cani, agli uomini, che tutto vede e conosce.
È un ritratto equilibrato e inedito di Robert Falcon Scott, capitano della Royal Navy, che si è consegnato al mito morendo di stenti in una tenda, che fino all’ultimo ha scritto con le dita congelate un diario (leggetevi I diari del Polo, Carte scoperte).
È l’Antartide dove l’immobilità del paesaggio inganna, dove il ghiaccio è irrequieto, dove il freddo morde, dove la Natura annienta l’uomo.
È un senso di disorientamento fortissimo, lo avvertono gli esploratori, lo percepiamo noi rispetto ai tempi che stiamo vivendo.
Ultimo parallelo è molto più di questo. È un romanzo potente che trascina, spaventa, che incolla alla pagina e respinge, il cui effetto pare inesauribile pur rileggendolo a distanza di tempo, uno scrigno prezioso che incanta e inghiotte. “Vorrebbero procedere ma i loro sforzi si fanno sempre più inefficaci e la slitta che trascinano pesa maledettamente ogni giorno di più e il freddo si fa sempre più intenso e la luce del giorno è sempre più debole e le giornate poco alla volta vengono ingoiate dalla notte che avanza a reclamare il tempo del suo dominio”.
Da un paio di mesi vivo una passione che travolge, che lascia senza fiato, leggo qualsiasi libro su Scott e compagni. Merito dell’autore che ha scritto un romanzo straordinario.
Questa non è una recensione, ma il resoconto di una singolare empatia che si è creata tra storia e lettore. A proposito della voce narrante, Tuena ha detto: “Chi è il lettore se non l’ombra che accompagna i personaggi?”.

Novità

V’infastidite quando, magari per telefono, quasi sempre qualcuno che non sentite da millenni, vi chiede: “novità?” e voi rispondete mesti “no”?
Lo dovrebbero sapere tutti che succede ben poco di così epocale da rientrare nella sfera delle “novità”, si tratta perlopiù di impercettibili aggiustamenti di rotta, le rivoluzioni si preparano, sempre, non scoppiano da un giorno all’altro.
Eppure la novità questa volta c’è: trovato. Ho trovato. Ho trovato l’appartamento.
Chi? Tu? Veramente?
Sì.

Tutti i numeri (trattasi di pidocchioso bilocale in affitto da scovare in altra città):
– Inizio ricerca: 10 gennaio 2009
– Termine ricerca: 14 settembre 2009
– Appartamenti visti, rullo di tamburi: 38
– Agenzia contattate: circa 30? (numero incerto)
– Chilometri percorsi: dato non pervenuto (guida il mio uomo, io guardo il paesaggio)
– Numero massimo di appartamenti visti in un giorno: 4
– Incazzature: uh, tante (più una rivista d’annunci strappata e gettata dal finestrino dell’auto in corsa)
– Rese: mai, al limite passi indietro causa sfinimento
– Tazze comprate nell’attesa: 10 (non ne hai mai abbastanza)
– Sopralluoghi all’Ikea sognando le Billy senza poterle comprare: 4

So che qualche volta transitate su queste pagine e che, in tutti questi mesi, appena mi vedevate, vi affrettavate a chiedermi “come va?” e io ci scherzavo, ma ero molto preoccupata.
Ringrazio i pochi ma buoni che mi hanno aiutato, sostenuto, si sono interessati, in particolare il mio più grande amico Alberto che mi ha sempre offerto la sua spalla, incoraggiandomi.
Ringrazio anche tutti quelli che mi hanno remato contro, che non credono tuttora in me, che hanno messo in dubbio le mie intenzione, chi ha detto “se non v’impegnate abbastanza nella ricerca vuol dire che non vi volete bene”. Mi avete reso più forte.
A Te: Sì lo so, dico sempre “io” e tu mi correggi ,“noi”.

Voi mi trovate sempre qui: stesso posto, ora variabile, stesso blog.

Navigo un po’ sul weeeb

Incredibile! Sto navigando sul weeeb come voi evoluti grazie a una magica chiavetta. Non mi sembra vero. Abituata a controllare la posta in pochissimi minuti, dato che il 56k non mi permetteva di far altro, in questo momento sto addirittura scrivendo un post (invece di fare le cose che dovrei fare). Ieri sera ci ho messo un’ora e ripeto un’ora per scegliere un libro sul sito della Feltrinelli. Da sola, senza scroccare la connessione e occupare la scrivania a nessuno, uh!
Perderò la testa.

Festivaletteratura 2009

Qualche giorno fa ero a Mantova per Festivaletteratura, che dire? La mia impressione non è delle più positive: l’atmosfera non è quella che mi aspettavo perché l’intera manifestazione sembra una catena di montaggio. Pare proprio che il Festival sia esploso e che l’offerta sia così ampia e variegata da non saper dove rivolgere lo sguardo. Qualche fruitore delle primissime edizioni mi dice che Festivaletteratura era diverso all’inizio e ci credo. Gli eventi in programma sono troppi e oltretutto sono a pagamento, fatto che stride perché la cultura dovrebbe essere libera altrimenti diventa elitaria. Voi direte “è sempre stato così” oppure “comprarsi un libro non è un privilegio?”. Avete perfettamente ragione tanto più che ora il prezzo dei libri è inaccessibile (dai 14 euro a salire, si tratta di rapina), eppure questi Festival dovrebbero offrire la possibilità a tutti di accedere dato che gli sponsor sgomitano per partecipare e le entrate sono ingenti.
Vorrei parlare della corsa sfrenata per accaparrarsi il biglietto di un evento, dell’assurdità di voler vedere lo scrittore (quando sono importanti le sue parole, non la sua faccia), della bizzarria di certi incontri interessanti per carità, ma di cui gli spettatori (gli autori vengono poco tradotti e mal distribuiti) non sanno un accidenti. A pensarci Festivaletteratura somiglia tanto al pazzo mercato editoriale che sforna libri che non hai nemmeno il tempo di acchiappare e sostano sullo scaffale il tempo di uno yogurt.
Potevo starmene a casa a leggere un libro se non fosse per gli straordinari documentari su letteratura e scrittori di “Pagine nascoste”.

Boris Ryzhy
di Aliona van der Horst, Paesi Bassi, 2008.
Una figura magnetica quella del poeta russo Boris Ryzhy, mai tradotto in Italia scivolato forse in qualche antologia, che si suicidò all’età di 26 anni all’apice della fama letteraria. La regista grazie alle testimonianze di parenti e amici, tenta di dare una risposta alla prematura morta del poeta e si spinge nel grigio quartiere dove visse Boris tra gli abbagli della Perestroika. Le poesie, frutto di vecchie registrazioni del poeta, nate tra orrori e povertà, fanno vibrare l’anima e danzano grazie a una sensibilissima regia.
“Ugliness – is beauty that cannot be contained within the soul”
www.borisryzhy.com

The hunt for Moby Dick di Adama Low, Gran Bretagna, 2008.
Quattro anni d’intenso lavoro per comporre quest’inedita lettura e rilettura in stretta relazione con il presente. Lo scrittore Philip Hoare grande conoscitore di cetacei e del capolavoro di Melville ci accompagna nei luoghi del romanzo, nei porti dove attraccò il Pequod. Commuove, e non poco, l’autentica passione di Hoare per l’epopea di Achab, per Melville che scrisse uno dei libri più grandi di tutti i tempi ma non venne capito, per balene e capidogli. È difficile vedere l’emozione infantile, così definita perché è la più pura, incarnata in un uomo. Questa combinazione di sentimenti buca lo schermo fino ad accendersi quando Hoare s’immerge a nuotare con le balene. Presente in sala ha raccontato che mentre il cuore batteva fortissimo nel terrore che i grandi mammiferi lo travolgessero, ha avvertito il loro sonar ticchettare nel suo petto.
www.thehuntformobydick.com

www.cineagenzia.it

Ancora

Davide: "Porco mondo, ho rifatto il giro telefonico delle agenzie immobiliari, ho lasciato il mio numero a tutti, finirà che dovrò cambiare sim."
pungola: "Ehm…anche la faccia, temo."

Qualche giorno dopo…

Agente (guardandomi): "Ma…noi non ci siamo già visti? Non vi ho fatto vedere quell’appartamento a…?"
Noi: "Ehm…no, si sbaglia."

Dalla sala per voi

videocracyVideocracy – Basta apparire di Erik Gandini, documentario, 2009

Il limite di un documentario come Videocracy è il destinatario. Lo dico perché la visione ha lasciato, non solo me, alquanto indifferente.* L’impressione è che sia roba già vista e in effetti lo è, ma bisogna ricordare, appunto, che si tratta di un prodotto per la Svezia.
Berlusconi, Mora e Corona sono soggetti che catalizzano l’attenzione a tal punto che perfino il regista Erik Gandini (italiano che vive in Svezia) partito con la tesi che in Italia “la divisione non è più tra destra e sinistra ma tra chi appare in tv e chi no”, perde il filo del discorso e il documentario risulta squilibrato.
In questa girandola di miseria umana che ruota intorno al piccolo schermo, si staglia una figura eccezionale, Ricky operaio mammone con il sogno di diventare famoso. Gandini lo immortala nella piattezza della provincia, lo segue nei ridicoli provini, lo riprende mentre applaude un becero reality, lo intervista. Ne esce un ritratto inedito, ancora più efficace delle veline che si esibiscono nei centri commerciali. Ricky è il prodotto del berlusconismo tv, a suo parere svantaggiato (le sue “colleghe” la danno), talmente ingenuo da far pietà, simbolo e vittima della videocrazia.
Di sicuro interesse è la frenesia che scatenano le pellicole dove il Berlusca risponde all’appello. Non so se sia un effetto da cartina tornasole o se la gente senta il bisogno di aprire gli occhi… tutti gli altri gradiranno vedere Corona che s’impomata il membro o Lele Mora nei suoi abiti immacolati che vi osserva mentre il suo cellulare trilla “Faccetta nera”.

* Ovvio che io sono io, non so voi che idea abbiate dell’Italia.

Visioni

(Perché non scrivi più? Eh. Sono sempre sul punto di scrivere, ma poi mi ritiro come una lumaca nel guscio. Ho la testa altrove.)

Giorni fa ho visto due film estremamente diversi, ma che racchiudono due scene memorabili.
In Ubriaco d’amore (Punch-Drunk Love di P.T. Anderson, 2002), Barry scova un errore di marketing in una promozione che regala miglia di volo acquistando un budino.
clicca per vedere la scena
Non saprei dirvi perché mi si è scolpita nella memoria, forse perché fa parte di una costellazione di spunti geniali. Questa commedia, migliore del sopravvalutato Magnolia, è un film sugli errori di sistema. Dal protagonista Barry che esplode in ingiustificati raptus di furia devastatrice ad altri bug quali la comparsa di un armonium, funambolici incidenti, il tutto interrotto da scie fluo. Vi starete chiedendo che diamine sto scrivendo eppure in questo film non c’è una storia, diciamo che “succedono cose”.
Sul Morandini si rintraccia la più calzante definizione di Adam Sandler che qui interpreta Barry, ossia “divo TV espressivo come un paracarro”. Fantastico.
L’altro film è Un bacio appassionato (Ae Fond Kiss di K. Loach, 2004), storia d’amore tra Casim e Roisin. Le difficoltà bussano subito alla porta: lui è un pakistano musulmano destinato al matrimonio con la cugina e lei un’insegnante bianca in una scuola cattolica di Glasgow.
clicca per vedere la scena
La scena chiave che spiega quanto siano lesive della libertà individuale le religioni, coercitive, insensate e deprecabili (d’accordo ridimensiono i termini: la misura è l’uomo, il prete in questo caso) è sconvolgente. Lampante.
Ken Loach è uno dei registi che preferisco, nelle sue storie c’è sempre una gran dose di onestà.

Venezia, un anno dopo

Un anno fa, carica di aspettative, preparavo la valigia. Destinazione? Lido di Venezia, Mostra del Cinema. Prima volta e unica, molto probabilmente. I lettori di questo blog lo sanno, per i nuovi, sempre che ce ne siano, andò maluccio. In verità, al tempo fu uno schiaffo che mi scaraventò a terra, ma con il passare del tempo tutto si valuta e rivaluta. Dico “maluccio” solo perché riuscii a vedere una valanga di film, come esperienza fu davvero uno schifo. Ho fatto di tutto per sotterrare lo schifo, l’inverno ha congelato il ricordo, ma poi, arrivata l’estate, non ho più potuto prendere le distanze, nascondere la testa sotto la sabbia, “fare finta che”. La Mostra c’è essendo rassegna di cinema annuale e ho dovuto farci i conti. E allora la rabbia dei mesi passati si è trasformata in una profonda amarezza, in una potentissima fitta allo sterno ogni volta che leggevo una notizia riguardo i film in concorso. All’inizio volevo stracciare i giornali, ma la curiosità mi ha sempre fregato e allora leggevo sapendo di non poterci essere. Posso dire di aver sofferto per tante cose e lo dico senza paura di essere contraddetta da qualcuno più vecchio di me o di essere accusata di essere melodrammatica, d’ingigantire e travisare il senso delle cose.
Soffro adesso senza mai versare una lacrima perché preferisco annientarmi dentro. Non so affrontare la vita in modo diverso perché so che è impossibile per chi guarda da fuori capire. Come posso spiegare che quell’occasione mancata, questa occasione mancata, sono la constatazione di qualcosa che non va? Che dovrei essere là perché quella è la mia vita, non questa. Che mi sento sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato e che Venezia, un anno fa, era un posto sbagliatissimo, ma anche giusto. Che forse non ero pronta, che ero come una bambina che rimane appiccicata alla vetrina, che non ha il coraggio d’entrare, ma che ho visto dentro.
Per di più, la rivoluzione che progettavo sugli scalini del Casinò, aspetta, assopita da qualche parte. Quest’anno sono successe tante cose, anche molto brutte e molto tristi, ma non sono cambiate. Non è cambiato proprio niente.
Com’è stata bella e diversa la scorsa estate, ad attendere incapace di stare ferma sulla sedia quel giorno d’agosto, a prepararsi, a divorare libri di cinema, ad abbandonarsi a felicità piccole come comprarsi un paio di jeans che s’indosserà solo là, non prima.
Com’era sentire che si entrava in un mondo che non si era mai preso in considerazione, avvertire che nuove porte si sarebbero spalancate?

Un libro alla settimana

Oggi parliamo di: Avrei dovuto restare a casa di Horace McCoy

avrei dovuto restare a casaMcCoy iniziò a lavorare come sceneggiatore a Hollywood nel 1931 e proprio dal suo lavoro sul campo scaturì questo romanzo breve. I protagonisti, Ralph e Mona, sono due giovani pieni di belle speranze arrivati dalla provincia (Georgia e Oklahoma) a Hollywood. Sicuri che diventeranno divi del cinema, aspettano che qualcuno li chiami per fare le comparse, non hanno soldi per pagare la pigione o il conto al mercato.
Quando incontrano Mrs. Smithers, una ricca vedova che organizza party nella sua villa a Beverly Hills, si vedono proiettati nello sfavillante mondo delle celebrità, ma non sapranno sfruttare l’occasione a dovere, cederanno a compromessi umilianti per poi ritrovarsi con in mano un pugno di mosche.
Ralph che ripete più volte “Se ce l’ha fatta Gary Cooper posso farcela anch’io” ha l’animo di un bambino che tiene tra le dita il filo di un palloncino. Cammina con il naso all’insù, non guarda dove mette i piedi e quando inciampa, rimane carponi a vedere il palloncino che vola via.
McCoy è abile e spietato nel tratteggiare la città delle illusioni quanto nell’evidenziare l’ingenuità di coloro che nelle promesse di gloria rimangono impigliati. Mona più concreta dell’amico, caparbia e furba, risolve la situazione in modo deludente pur di non vivere nella misera; Ralph, tutto teso a diventare il divo del secolo, non cerca di migliorare quell’accento causa di rifiuto ai provini e cade tra le braccia della ricca vedova sicuro che l’aiuterà.
Ralph e Mona come tutti i personaggi che gravitano attorno a loro sono presenze inconsistenti che si perdono inseguendo miraggi, sperando nel domani, senza far nulla nell’immediato presente.

“Da Vine Street svoltai in Hollywood Boulevard, verso occidente, dicendomi che ero pazzo a confessarmi sconfitto. Non era tutto perduto. Ed io non ero a casa, ma ero qui, invece, sul celebre boulevard, a Hollywood, nella città dei miracoli, dove oggi, forse, o tra un minuto, qualche regista, passando, avrebbe potuto scritturarmi…”
(Avrei dovuto restare a casa, H. McCoy, 1938, il melangolo)