Me, you and a pozzetto

Un giorno tuo padre spalanca la porta d’ingresso esclamando: ”Mi hanno fregato mezzo milione di vecchie lire!”.
Tu ci sei abituata, sai che sul campanello la targhetta riporta la scritta “manicomio” e non “famiglia…”. Ti volti e con assoluta naturalezza, chiedi: ”Sarebbe a dire?”.
“Vedi questo anello, il mio anello? Lo porto al dito da venticinque anni, venticinque anni!”.
L’anello è apposto, ma in effetti la pietra al centro manca. Gli uomini di una volta (tuo padre ha una certa età) portano ancora orribili anelli con la pietra al centro, che sia brillante, rubino, poco conta. Fanno schifo.
“E dov’è andata a finire? Te l’ha sfilata una zingara?”
“Capitano tutte a me! Tutte a me! Ho sollevato il coperchio di un tombino e sono sicuro che la pietra è caduta lì dentro, l’ho vista prima di andare via, mi devi aiutare a recuperarla.”
“Allora non te l’ha rubata nessuno e…cosa dovrei fare, scusa?!”
“Non dire niente a tua mamma, mi raccomando!” sibila tuo padre.
Tu non commenti. Sai che ti toccherà assecondarlo nell’ennesima follia.

Qualche ora dopo…

Arrivi sul luogo del misfatto dopo un tragitto durante il quale vi siete scambiati frasi come: “Che caldo oggi”, “Sì, vero.”, “Stasera pioverà”, “Ah…”.
Capita sempre così.
Attorno a te fabbriche, sei in una zona industriale. I rumori metallici dei macchinari in funzione bucano l’aria calda.
Avete portato via nell’ordine: una bacinella, un tubo vuoto di palline da tennis, un sottovaso in plastica, una paletta (che tu ricordi aver usato per raccogliere la pupù del tuo cane in giardino), una tenaglia, un punteruolo o qualcosa di simile, sacchetti di nylon, una tavola di compensato, una torcia.
Tuo padre si avvicina al tombino che non è un tombino, ma un pozzetto e c’è una bella differenza.
Un pozzetto è un foro di un metro quadrato, profondo un metro e mezzo, dentro cui ci sono vari tubi e manopole.
“Avevi parlato di tombino e qui non c’è una spanna di acqua, molta di più!”
Tuo padre illumina con la torcia il punto in cui si ricorda di aver visto l’ultima volta questa famosa pietra.
“Vedi?”
“Guarda che potrebbe essere tutto e niente, un pezzo di vetro e poi c’è un sole accecante sopra le nostre teste, la torcia non illumina un bel tubo.”
A nulla servono le tue ovvie constatazioni, tuo padre decide di calarsi nel pozzetto.
“Ti potresti far male!” lo avverti.
Sudi. Tuo padre appoggia i piedi sulle tubature che occupano quasi per intero lo spazio e visto che non è propriamente un fuscello, temi che si romperà tutto. Non contento incastra un piede tra le tubature e la parete del pozzetto.
“Ahi!”
“Tu sei matto! Vieni fuori di lì!”
Perlustra con la pila il fondo, smuove l’acqua che naturalmente diventa torbida.
“Non si vede un accidente, passami il tubo e avvicina al bordo la bacinella.”
Riempie il tubo d’acqua e ti chiede di svuotarla nella bacinella.
“Non ce la farai mai, c’è troppa acqua.”
Osservi l’acqua nella bacinella. Ha un colore poco rassicurante e dentro vi nuota di tutto.
“Ma quest’acqua da dove arriva?”
“Acqua piovana.”
Tiri un sospiro di sollievo.
Tuo padre decide di tornare in superficie. Un piede è fradicio, i pantaloni sono sudici.
“Dai, basta, non la troverai mai.”
Più cocciuto di un asino, si cala nuovamente. Raccoglie fanghiglia che si è depositata sul fondo, la ispeziona, continua a ripetere che è lì, lui lo sa.
Riemerge e ti coinvolge nella ricerca sulla terraferma. Guarda ovunque, tra le erbacce, per terra, compie nuovamente il percorso, dicendo “Son stato qui, poi sono andato là…”.
Tu fai finta di cercare. Non parliamo di un pompelmo, ma di una punta di spillo. Se si trattasse di un anello, allora ci sarebbe qualche speranza di ritrovarlo, ma una minuscola pietra che può essersi infilata chissà dove, per di più all’aperto è impossibile da ritrovare.
Eppure tuo padre è disperato, scuote la testa e ricordi anche tu, che una volta, hai sbroccato pensando di aver perso la catenina che porti sempre al collo. Mezz’ora di puro delirio in cui a momenti strappavi i cuscini del divano con i denti, salvo poi infilarti una mano nel reggiseno e scoprire che la bastarda si era sganciata e riposava tranquilla tra le tue poppe.
Tuo padre si cala per la terza ed ultima volta poi decide di lasciar stare e tornare a casa, ma sei sicura che domani mattina tornerà lì di nuovo.

Sto ascoltando: Band of horses – Cease to begin

Maledetta sorpresa

uovoDopo Pasqua, le uova di cioccolato vengono ritirate, ma la domanda è: che fine fanno le sorprese?

Un libro alla settimana

Oggi parliamo di Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy

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Solitamente non amo vedere film tratti da libri che ho letto perché la mia immaginazione viene sempre tradita dalle immagini proiettate sullo schermo. La versione cinematografica e la “versione lettrice”, non combaciano mai, ma questa volta ho affrontato il processo inverso, prima film e poi libro.
Ecco la trama. Tra Texas e Messico s’intrecciano le vite di tre uomini: Llewelyn Moss, il fuggitivo con in mano una valigetta piena di soldi, l’inseguitore Anton Chigurgh, incarnazione del male e lo sceriffo Bell oramai vecchio e stanco.
Il film pur essendo molto fedele al libro, si concentra sulla figura di Chigurgh che segue una diabolica filosofia di morte. Lui uccide, punto. Non lo fa per soldi, per sete di sangue, per necessità o altro, lui uccide.
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La scelta dei Coen è stata abbastanza ovvia. Chigurgh è un personaggio unico, già inserito nella storia del cinema tra i grandi cattivi. Ottima la scelta dell’assurdo parrucchino e del bravissimo attore. Inutile dire che si rimane affascinati da Chigurgh.
Nel libro, invece, il vero protagonista è lo sceriffo Bell. La narrazione difatti è interrotta da pagine zeppe di pensieri di Bell che non riesce a spiegare la violenza che tiene in pugno il mondo. Scuote la testa chiedendosi dove siano finiti i valori del passato fino ad arrivare a concludere che: “quando non si sente più dire Grazie e Per favore, vuol dire che la fine è vicina.”
Lo sceriffo è inerme nei confronti dell’improvvisa esplosione di crimine nella sua contea: Moss trova la valigetta a pochi chilometri di distanza da un regolamento di conti tra narcotrafficanti crivellati di colpi, Chigurgh si lascia alle spalle una lunga scia di morte.
Chigurgh è proprio la personificazione della violenza inaudita e inconcepibile (“ho la sensazione cha abbiamo di fronte qualcosa che non abbiamo mai visto prima”), davanti la quale lo sceriffo non può che arrendersi.
Si capisce che Bell è un sceriffo vecchio stampo. Contatta Carla Jean, moglie di Moss, cercando di farle capire che il marito è in brutto guaio, affronta la questione con cautela e forse non ha più la voglia né la forza di lanciarsi in una simile impresa. Non è un codardo, né un debole, è ancorato al passato e nelle sue parole la tristezza per un mondo che sta andando alla deriva, è vera e palpabile.

“Tu credi che quando ti svegli la mattina quello che è successo ieri non conta. Invece quello che è successo ieri è l’unica cosa che conta. Che altro c’è? La tua vita è fatta dei giorni che hai vissuto. Non c’è altro. Magari pensi di poter scappare via e cambiare nome o non so cosa. Di ricominciare daccapo. E poi una mattina ti svegli, guardi il soffitto e indovina chi è la persona sdraiata nel letto?”

“E lei? Perché non mi parla dei suoi nemici?
Io non ho nemici. Non permetto che esistano.”

(Non è un paese per vecchi, Cormac McCarthy, 2005, Einaudi)

Anno bisesto, anno funesto

È ufficiale: il 2008 è l’anno dei matrimoni. Io sono stata invitata a ben tre, dico tre, matrimoni.
Vorrei tanto fregarmene e presentarmi in jeans e maglietta, ma non posso e devo scervellarmi per comprare un unico vestito che vada bene per tutte e tre le occasioni.
Odio il cosiddetto shopping, attività inutile e dispendiosa. In questi casi vorrei tanto essere un uomo: voi vi comprate un vestito e poi lo mettete sempre. Non dovete abbinare questo con quello, vi basta farvi la barba, sforzarvi d’infilare una camicia e siete pronti per matrimoni, funerali, battesimi, lauree.
Andar per negozi è un’attività che odio a tal punto che oramai non guardo più le vetrine, ho annullato perfino questa abitudine femminile. Posso passare ore tra gli scaffali polverosi di una libreria, sfidare una fredda giornata di gennaio in un mercatino di libri usati, “ravanare” tra mille volumi, ma lo shopping no. Cercar vestiti, provare pantaloni, ognuno veste diverso, passami quello, guarda qui che colore, quest’anno va di moda la tonalità mandarino, per carità!
Insomma dicevo dei matrimoni. Oltre a sorbirsi la teatralità del giorno del fatidico sì, con tutta le gente che si finge felice, invece è venuta solo perché sa che mangerà tanto e gratis, i presunti amici con i quali uscivi ti tagliano fuori solo perché tu non fai parte del club degli sposi.
Il club degli sposi è inaccessibile per te che non ti sposi e non ti sposerai mai, che non convivi, che non ti stai facendo la casa. Hai degli amici che tra poco più di un anno si sposeranno? Vivi questi ultimi attimi di gioia con loro perché poi non li rivedrai mai più.
Succederà così: per anni avevate condiviso serate e momenti piacevoli assieme, vi eravate divertiti, ma più loro si avvicineranno alla data stabilita, più vi diranno che hanno da fare, che questo sabato non escono e nemmeno quello dopo, finché scoprirete che loro escono sempre, non più con voi, ma con, guarda caso, quell’altra coppia che si deve sposare.
Di certo voi non potete allegramente conversare di piastrelle, cucine, camerette per bambini, tegole, abiti da sposa, viaggi di nozze, addobbi floreali.
Semplicemente, questi simpatici figuri, vi cancelleranno dalla loro vita e voi direte: “Ma se a me piace leggere, vuol dire che dovrei frequentare solo gente che legge?” Esatto.
Fatevene una ragione, voi non appartenete al club degli sposi e quelli che ritenevate amici sono in realtà dei perfetti stronzi. Che volete farci.
Ora penserete che tutto ciò mi riguarda e che io sia un po’ avvelenata. Vi sbagliate di grosso, tutto questo me l’ha raccontato qualcuno. (Quanto avevi ragione, caro amico mio, quando dicevi che è meglio stare soli.)
Comunque tutto questo per dire che i proverbi sono Verità: “Anno bisesto, anno funesto”, durante gli anni bisestili accadono sempre cose bruttissime.

Un libro alla settimana (al momento sospeso)

Caro lettore,
cosa caspita mi sta succedendo? Neanche questa settimana riuscirò a garantire la pseudo recensione e non riesco a spiegarmi perché.
Leggo molto eppure mi sembra di non leggere. Non riesco a terminare un libro che sia uno.
Avanzo ogni sera di trenta pagine, ma non arrivo mai alla fine. Forse rileggo sempre le solite trenta pagine? Può essere. In effetti, ho sempre desiderato essere la protagonista di uno di quei film in cui la storia si ripete mille volte e i gesti si susseguono tutti uguali e le parole sono le stesse…si chiama routine, pungola e tu ci sei dentro. Ah, allora no.
Dicevo che non riesco ad arrivare all’ultima pagina di un libro. Sto leggendo “Non è un paese per vecchi” di McCarthy sperando che il libro metta a tacere tutti i miei “perché” sollevati in sala mentre guardavo il film, ma perché fa così? Ma perché fa colà?, e non azzardatevi a dirmi che non c’è un finale e che rimarrò con la bocca a culo di gallina (protendere le labbra in avanti, emettere un strettissimo ohhh, spalancare gli occhi).
Inoltre ho lasciato a metà “Uto” di De Carlo perché a pagina 114, ho avuto una crisi. Non riuscirò mai a finirlo, ho urlato nel cuore della notte.
Portare avanti più letture non è una buona tattica. Uno pensa di essere furbo, di guadagnare tempo e invece il piacere della lettura un po’ si perde, ma io lo faccio perché durante una conversazione, mi spiace veramente tanto non aver letto il libro di cui si sta parlando. Gli angoli della bocca si piegano all’ingiù e mi riprometto di leggerlo al più presto, poi non lo faccio perché ne ho altri dieci prima da leggere.
Per non parlare di quando mi chiedono se ho letto tutti i libri di quel determinato autore. No, non mi sembra giusto leggere tutto di uno scrittore e ignorare perfino l’esistenza di un altro. Per non far torto a nessuno, saltò qua e là e così non posso mai dire se mi piaccia di più il Tolstoj di “Guerra e pace” o di “Resurrezione”.
Io vorrei soltanto una cosa: triplicarmi per poter leggere di più, oppure avere la cultura di un lettore ottantenne, tenendo il mio corpo, anzi no, sostituendolo con quello di Charlize Theron.
Bè, insomma, avete capito.

Fossili

“Due anni fa Friedrich aveva inserito su Myspace un video in qualche modo premonitore: un viaggio verso l’Ungheria, guidava in maniera pericolosa, staccando anche le mani dal volante.”
(Corriere della sera, 19.03.08).

Dopo che quel coglione ha travolta e ucciso le due povere turiste irlandesi, è stato rintracciato il suo video su Myspace che ha fatto il giro dei telegiornali, è finito sui quotidiani, ovunque.
Se mi avessero detto, dieci anni fa, che le cose sarebbero andate così non ci avrei mai creduto.
Oramai quasi tutti hanno un blog, un sito, un video su Youtube, Myspace, Facebook, siamo ovunque, rintracciabili, intercettabili, ricattabili.
La vita è diventata una finestra dalla quale ci affacciamo, ci esibiamo, ci mettiamo in mostra e anche se non vogliamo ammetterlo facciamo tutto questo per lasciare una traccia.
Vogliamo esserci, a tutti i costi, uscire dall’anonimato.
Perché ho un blog? Mi piace scrivere, ma mi piace anche essere letta, altrimenti potrei riempire quaderni è tenerli chiusi in un cassetto.
Tempo fa, ho letto da qualche parte di un blog in cui le persone lasciavano commenti nonostante la blogger fosse purtroppo deceduta.
Per me questa è pura fantascienza, materia per Orwell, Dick e compagnia bella, ma sicuramente qualcuno avrà scritto un libro sull’argomento e io non l’ho letto.
Il mio turbamento rimane e continuo a riflettere su questa storia della traccia che poi è il tema di fondo dell’esistenza. Chiunque vuole lasciare un segno della sua presenza altrimenti perché si mettono al mondo i bambini? Non ditemi per il piacere di lavargli il culetto, vederli sputare o insultarti quando diventano grandi. Un bambino che un po’ ci assomiglia, che porta il nostro cognome, nelle cui vene scorre il sangue di famiglia è la nostra impronta su questa terra, la prova tangibile che siamo vissuti.
Io, per quanto mi riguarda, preferirei scrivere un libro, un solo bellissimo libro, ma ognuno ha le sue idee in merito.
Oramai il web è un’altra vita, una seconda possibilità di vita. Possiamo fingere di essere qualcun’altro, possiamo inventarci infinte esistenze, possiamo apparire brillanti e spiritosi anche se siamo apatici e noiosi e questa immagine di noi possiamo mantenerla per l’eternità.
E qui ciccia fuori la durata. Molti anni fa, quando chattavo, ho conosciuto un tizio (inglese, americano? Boh). Ci sentivamo spesso, ma all’improvviso è scomparso.
I rapporti nati in Internet sono traballanti perciò me ne ero fatta una ragione, amen.
Circa un anno dopo mi arriva una mail dal fratello del tizio che, disperato, lo cerca. Aveva raccolta tutti i suoi contatti e chiedeva notizie visto che suo fratello era partito per un lungo viaggio, ma non era più tornato.
Ditemi voi, se questo episodio non è la prova che ciò che lasciamo su Internet rimane.
Io mi sento un po’ Highlander, lo ammetto.

!!!!!

VUOI ESSERE UNO DEGLI AUTORI DELLA PROSSIMA ANTOLOGIA LAS VEGAS?

Partecipa al nostro gioco, bello bello in modo assurdo.

Las Vegas edizioni (www.lasvegasedizioni.com) ti mette a disposizione il suo scintillante casinò letterario e un gioco completamente gratuito per mostrare il tuo talento.
Il premio? Potrai essere uno degli autori della prossima antologia di Las Vegas!

REQUISITI: possedere un sito o un blog. (Non hai un blog? Quale migliore occasione per aprirne uno!)

ISTRUZIONI: per partecipare alla prima selezione devi:
1) pubblicare questo post (esattamente così com’è) nel tuo
sito o blog. L’originale del post che devi ricopiare è qui [http://lasvegasedizioni.splinder.com/post/16142956/%21%21%21%21%21];
2)
mandare a gioco(at)lasvegasedizioni.com l’indirizzo (l’url, quella cosa che comincia con “http://”) del post di cui sopra, più quello di un altro post – uno solo: quello che più rappresenta il tuo stile e la tua volontà di scrivere – che vuoi sia letto e valutato dall’arcigno croupier. Non inviare nessun altro tipo di materiale. Sul blog di Las Vegas edizioni, www.lasvegasedizioni.splinder.com, saranno indicati, via via, tutti i partecipanti;
3) aspettare nuove istruzioni.

TEMPI: la prima selezione terminerà quando avremo raggiunto materiale a sufficienza (la scadenza verrà annunciata con qualche giorno di preavviso sul blog di Las Vegas). Se avrai giocato le carte giuste, sarai contattato per partecipare alla seconda fase.

PREMI:
il premio finale, al termine delle varie selezioni, è la pubblicazione nella prossima geniale antologia targata Las Vegas.

Signore e signori, fate il vostro gioco!

SOS addestratore

Vorrei proporre un nuovo programma ai signori dei format, magari lo fanno già ma qui in Italia non è ancora arrivato: SOS addestratore.
Se proprio volete risparmiare, cari signori, impiegate pure le signore di “sos tata” che tanto bambini e cani sono uguali.
Dovete sapere che da quando Polly è entrata nella mia vita, io non ho più una vita.
Guardate un po’ come sono ridotta: è tutto l’inverno che indosso le infradito. Perché? Semplice. Polly ha mangiato tutte le mie ciabatte e io mi sono stufata di ricomprarle.
Ricordo un bellissimo paio di babbucce di snoopy e una lacrima mi riga il volto.
Fa un po’ freddo girare con le infradito, ma alla fine ci si abitua e se guardate bene, anche queste presentano i morsi di Polly. Il tallone destro striscia per terra perché la suola manca e mi sembra oramai di essere diventata una cinese, faccio enormi sforzi per tenere i piedi entro i limiti esigui della ciabatta.
Non parliamo poi del guinzaglio. L’ho avvolto con il nastro isolante perché Polly l’ha sfrangiato in più punti. Parliamo di un guinzaglio che ha costato dieci euro dieci. Spero che duri perché io non ho nessuna intenzione di cambiarlo.
Proseguiamo con il bidè, sì perché Polly ciuccia i rubinetti dei bidè. Non so chi le abbia insegnato una cosa simile o se abbia capito che da lì esce l’acqua e che visto che ci arriva perché non farsi un goccio ogni tanto, ma è un’abitudine rivoltante.
Tasto dolente, il cibo. Polly mangia tutto, ma proprio tutto. Elastici, lana del materasso, sottovasi di plastica, cinturini di orologi, segatura, foglie, pietre, fogli di carta, libri, ossi seppelliti da chissà chi, pupù di cavallo, fiori, tappeti. Continua a masticare.
Lecca il muro, non so per quale motivo, e la saliva scivola sulla parete. Altro che Tarantino.
Episodi spiacevoli. Si è strusciato su una deiezione di cane di consistenza morbida e su una pantegana morta. Io, ovviamente, ho dovuto lavarla.
Rapporti con gli altri animali. Tortura le gatte, in particolar modo Bruschetta (si chiama così perché l’ho raccolta dalla strada dopo essere stata alla sagra della bruschetta). Le tira la coda, la rincorre, spalanca le fauci e tenta di mangiare la testa del povero felino.
Mi morde il sedere. Appena torno a casa mi assale, mi strattona, con un colpo di reni arriva a sfiorarmi il naso poi prende la rincorsa e mi morde il sedere.
Non mi ascolta e non obbedisce ai comandi, si prende giuoco di me, m’infastidisce fino a che non le tiro la pallina e poi corre intorno al tavolo.
Ruba i fazzoletti dalle mani proprio quando sto per soffiarmi il naso.
Mi porta biscottini pieni di bava sul letto al mattino.

Insomma non so più cosa fare, aiutatemi!

Polly

Incontrando Andrea De Carlo

Mercoledì sono andata a Padova per la rassegna d’incontri “Lo scaffale degli scrittori”, ospite Andrea De Carlo.
L’incontro è stato scandito da momenti musicali, Andrea suonava pianoforte e chitarra accompagnato dai tamburi dell’amico – musicista Arup Kanti Das conosciuto cinque anni fa.
Andrea ha trasformato il classico incontro con l’autore in una piacevole serata.
Questa la motivazione: “Non volevo fare i soliti incontri, non perché non fossero interessanti, non mi piaceva la liturgia del classico botta e risposta tra critico e scrittore, volevo creare un incontro tra scrittore e lettore perché sono i due lati della stessa medaglia, sono come due soci di un unico gioco.
Mi piace il miracolo dell’incontro. É affascinante, non spiegato. C’è un mistero che ruota attorno alla motivazione che spinge a scrivere o a leggere e a questo servono gli incontri: le esperienze individuali e solitarie di scrittura e lettura vengono condivise e diventano un momento collettivo.”

Dopo questa breve presentazione, Andrea usa un espediente per far partecipare anche i più timidi. Suggerisce di scrivere domande o anche sole parole su bigliettini di carta, Arup poi leggerà quanto scritto. L’ho trovata un’idea a dir poco geniale.
Riporto alcune risposte di Andrea e se vi sembreranno un po’ sconnesse è solo colpa mia visto che non sono riuscita a scrivere tutto. Spero di non averne travisato il senso.

Quando scrivi, come fai a rendere universale un sentimento individuale?
Uno scrittore può correre dietro quello che vuole il lettore, ma io scrivo le cose che sento, che vivo, che devo raccontare, poi può succedere che in queste storie alcuni si rivedano.

Quanto sei dentro ai tuoi personaggi?
Alcuni sono come uno specchio, altri sono lontanissimi da me, ma poi mi avvicino ed è la cosa più interessante che può capitarmi perché vedo il mondo da un altro punto di vista. La cosa più importante quando scrivo è “come sarebbe se…”.

Ci parli del tuo incontro con Calvino?

Sono stato influenzato dai suoi libri fin dalle medie quando lessi “Il barone rampante”, scritto in un italiano perfetto.
Quando scrissi il mio primo libro non lo mandai all’Einaudi, sicuro che non l’avrebbero letto, poi su consiglio di un amico lo inviai. Dopo alcuni mesi, Calvino mi chiamò per dirmi che gli era piaciuto. Devo riconoscenza per più di un motivo a Calvino.

Dimmi una ragione per leggere un tuo libro.
Non te lo dirò mai. Leggere è come incontrare una persona, succede, non ci sono ragioni.

Scrivendo quando decidi che una storia è finita?
Si sente. Alcuni seguono uno schema, altri si addentrano in una giungla e si fanno strada eliminando la vegetazione, ma la fine è sempre una sorpresa. Mi può capitare di scrivere 200 pagine e di aver voglia di scriverne altrettante, come in “Due di due”.
É come progettare un viaggio senza mappe, ma nel viaggio succede sempre qualcosa d’inaspettato. La fine arriva inaspettata.

Il tuo rapporto con Milano.
Ho un rapporto conflittuale con Milano che secondo me è la negazione della vita naturale delle persone. È una città che concede poco a chi ci vive, oltretutto è poco italiana perché mancano i luoghi d’aggregazione come le piazze che gli stranieri tanto c’invidiano.
É un sistema di canali di scorrimento del traffico per andare da un ufficio all’altro.

Ci dai un anticipo della trama di “Durante”?
É la storia di un personaggio che si chiama Durante, ma non voglio raccontarlo perché tutto ruota intorno a lui. É un rivelatore, rilevatore. É la storia di un rivelatore.

Oltre a rispondere alle molte domande del pubblico e a suonare, Andrea ha letto un capitolo tratto da “I veri nomi”.
Un bellissimo incontro non c’è che dire, insolito e inaspettato.

Terrificanti

Dannazione, devo riuscirci!
Devo affrontare le mie paure, combatterle!
In questi giorni tenterò di liberarmi da due macigni che mi schiacciano da anni.

1. Leggere Il richiamo della foresta e Zanna Bianca di London.
2. Vedere Twin Peaks da sola.

Tutun tutun tutun tutun tuuuuuun tutun tutun tutun tutun (motivetto di Twin Peaks)