Incontrando Andrea De Carlo

Mercoledì sono andata a Padova per la rassegna d’incontri “Lo scaffale degli scrittori”, ospite Andrea De Carlo.
L’incontro è stato scandito da momenti musicali, Andrea suonava pianoforte e chitarra accompagnato dai tamburi dell’amico – musicista Arup Kanti Das conosciuto cinque anni fa.
Andrea ha trasformato il classico incontro con l’autore in una piacevole serata.
Questa la motivazione: “Non volevo fare i soliti incontri, non perché non fossero interessanti, non mi piaceva la liturgia del classico botta e risposta tra critico e scrittore, volevo creare un incontro tra scrittore e lettore perché sono i due lati della stessa medaglia, sono come due soci di un unico gioco.
Mi piace il miracolo dell’incontro. É affascinante, non spiegato. C’è un mistero che ruota attorno alla motivazione che spinge a scrivere o a leggere e a questo servono gli incontri: le esperienze individuali e solitarie di scrittura e lettura vengono condivise e diventano un momento collettivo.”

Dopo questa breve presentazione, Andrea usa un espediente per far partecipare anche i più timidi. Suggerisce di scrivere domande o anche sole parole su bigliettini di carta, Arup poi leggerà quanto scritto. L’ho trovata un’idea a dir poco geniale.
Riporto alcune risposte di Andrea e se vi sembreranno un po’ sconnesse è solo colpa mia visto che non sono riuscita a scrivere tutto. Spero di non averne travisato il senso.

Quando scrivi, come fai a rendere universale un sentimento individuale?
Uno scrittore può correre dietro quello che vuole il lettore, ma io scrivo le cose che sento, che vivo, che devo raccontare, poi può succedere che in queste storie alcuni si rivedano.

Quanto sei dentro ai tuoi personaggi?
Alcuni sono come uno specchio, altri sono lontanissimi da me, ma poi mi avvicino ed è la cosa più interessante che può capitarmi perché vedo il mondo da un altro punto di vista. La cosa più importante quando scrivo è “come sarebbe se…”.

Ci parli del tuo incontro con Calvino?

Sono stato influenzato dai suoi libri fin dalle medie quando lessi “Il barone rampante”, scritto in un italiano perfetto.
Quando scrissi il mio primo libro non lo mandai all’Einaudi, sicuro che non l’avrebbero letto, poi su consiglio di un amico lo inviai. Dopo alcuni mesi, Calvino mi chiamò per dirmi che gli era piaciuto. Devo riconoscenza per più di un motivo a Calvino.

Dimmi una ragione per leggere un tuo libro.
Non te lo dirò mai. Leggere è come incontrare una persona, succede, non ci sono ragioni.

Scrivendo quando decidi che una storia è finita?
Si sente. Alcuni seguono uno schema, altri si addentrano in una giungla e si fanno strada eliminando la vegetazione, ma la fine è sempre una sorpresa. Mi può capitare di scrivere 200 pagine e di aver voglia di scriverne altrettante, come in “Due di due”.
É come progettare un viaggio senza mappe, ma nel viaggio succede sempre qualcosa d’inaspettato. La fine arriva inaspettata.

Il tuo rapporto con Milano.
Ho un rapporto conflittuale con Milano che secondo me è la negazione della vita naturale delle persone. È una città che concede poco a chi ci vive, oltretutto è poco italiana perché mancano i luoghi d’aggregazione come le piazze che gli stranieri tanto c’invidiano.
É un sistema di canali di scorrimento del traffico per andare da un ufficio all’altro.

Ci dai un anticipo della trama di “Durante”?
É la storia di un personaggio che si chiama Durante, ma non voglio raccontarlo perché tutto ruota intorno a lui. É un rivelatore, rilevatore. É la storia di un rivelatore.

Oltre a rispondere alle molte domande del pubblico e a suonare, Andrea ha letto un capitolo tratto da “I veri nomi”.
Un bellissimo incontro non c’è che dire, insolito e inaspettato.

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2 commenti

  1. AlwaysLaFatina

     /  16 marzo 2008

    Un’idea GENIALE quella dei bigliettini? o.O

    Agli incontri a cui ho partecipato io (non solo di letteratura) si fa praticamente sempre…

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  2. spungola

     /  19 marzo 2008

    per me è la prima volta

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