Dalla sala per voi

antichristTrama: una coppia perde il figlio. Il marito, psichiatra, decide di curare la moglie e la porta in un rifugio tra i boschi per indurla ad affrontare le sue paure.

Ammettiamolo: ieri sera ho visto “Antichrist” solo per parlarne male oggi.
Non sono prevenuta nei confronti di Lars von Trier, anzi “Le onde del destino” e “Dogville” mi sono piaciuti parecchio, m’infastidisce però che il regista si diverta ad alzare polveroni. Dichiarare durante la conferenza stampa “E vi prometto che ci sarà tantissimo sangue” è da Trier ed è proprio questo che detesto anche se sto nel mezzo tra chi lo venera e chi lo ricopre d’insulti. Questa volta avrei voluto dargli una bella steccata e invece “Antichrist” nonostante l’evitabile titolo, ha molti punti a favore. Non mi ha spostato di una virgola dalla mia posizione, ma la scena nel prologo, vale tutto il film e tantissimi altri film. Tra i versi di Handel e il bianco e nero di Anthony Dod Mantle vengono inoculate dosi insostenibili di bellezza e non c’è nulla da obiettare. Sul resto possiamo parlarne per i prossimi sei mesi.
Innanzitutto direi che il film è inquietante (non horror) e che mi ha ricordato le atmosfere del grandissimo e inarrivabile Lynch. Charlotte Gainsbourg e Willem Dafoe sono perfetti, tengono in piedi la baracca e sono il motore della vicenda. Proprio per questo lasciamo da parte la menata dell’Anticristo che avrebbe creato il mondo e le vicissitudine personali del regista unite alla sua sempre manifestata misoginia. È interessante la lotta tra sessi, l’invalicabile dolore per la perdita di un figlio, la casetta nella Foresta di Eden, le sequenze oniriche, il fatto che la storia con tutti i “se” e tutti i “ma” del caso, abbia una sua coerenza e che il ritmo, per una volta, sia sostenuto.
C’è da rimanere sempre sul chi va là; l’uso di una certa simbologia è a tratti scontato, la storia è zeppa di passi falsi e azzeccate intuizioni, ma la certezza è una: l’indiscutibile talento visivo del regista danese.
L’impalcatura del film si sbriciola verso la fine quando succede di tutto e pure troppo, tanto che ho abbassato lo sguardo sulle scene più cruente.
Se avete tempo, leggetevi qualche recensione. In molti l’hanno demolito in maniera peraltro divertita, ma merito del film e del regista è di muovere le acque, troppo chete, del cinema.
È positivo che se ne parli per giorni, che lo si ricordi, che si tenti di rintracciare le vere motivazioni, che ci siano estimatori e detrattori, che lo si derida o lo si esalti.
Tra una marea di film inconsistenti, almeno un titolo su cui discutere.

(Facezie: un signore incrociato all’uscita della proiezione precedente mi ha chiesto se pioveva seguito da dei pochi confortanti “auguri” per il film; un silenzio imbarazzato del pubblico in sala sui titoli di coda; Davide ha detto “impressionante la scena della forbice, sembrava di vedere mia mamma che taglia le trippe”).

Lo sapevate già, vero?

All’inizio era divertente cercare l’appartamento, infilare quattro appuntamenti il sabato mattina, trascrivere le impressioni, pensare cosa comprare all’Ikea, ma i giorni e i mesi sono volati via assieme all’entusiasmo, si sono accese le discussioni (io voglio il garage!, io voglio stare più vicino al centro!, non voglio le finestre che si affacciano sulla strada!, che schifo di zona!), le incazzature, i “basta ti prego non litighiamo”.
Arriva un momento in cui vuoi condividere qualcosa di più di un sabato con la persona che ami. Tutti a ripeterti “ti stancherai presto, è difficile occupare gli stessi spazi”, ma a te mancano i risvegli, le colazioni, i pranzi e le cene, un letto da occupare, la retrospettiva del martedì al cinema, parlarsi in faccia non più al telefono, le risate, le lacrime e tante altre cose.
Sei anni di telefonate, sei anni di andate e ritorni, più ore trascorse in auto che all’aria aperta. Dormire controvoglia a casa dell’altro, borse e valige, ogni volta dimentichi qualcosa “mi presti lo spazzolino? Cazzo fa freddo, non ho portato la giacca pesante! Ho dimenticato a casa tua il caricabatterie?”. Nel frattempo tutti attorno a te si muovono, neanche si fossero messi d’accordo per farti crepare d’invidia, e tu rimani fermo, nello stesso punto. C’è chi si sposa, chi firma il rogito, chi si trasferisce. La rabbia sale quando, per caso, vedi una ragazza e un ragazzo che vanno a gettare le immondizie insieme. Nel breve tragitto al cassonetto si danno pure un bacino, porco mondo!
Un consiglio: se decidete di vivere assieme, tuffatevi nel mercato immobiliare e cercate come dei forsennati. Sfruttate i primi tempi perché più passano i mesi, più le speranze si affievoliscono.

Dalla sala per voi

elegy“Ancor più grave è l’indifferenza riservata a Lezioni d’amore tratto dall’Animale morente, romanzo senile del grande Philip Roth.”, scrive Claudio Carabba nel Magazine.
Ho visto Elegy una ventina di giorni fa e mi sono dimenticata di scriverne. Anch’io quindi l’ho archiviato perché, pur essendo un buon film diretto da una bravissima regista, non lascia il segno ed è vittima di molti errori.
Innanzitutto il titolo, l’abbiamo detto tutti: tra Elegy (titolo originale del film) e L’animale morente (titolo del libro), si sono infilati i titolisti italiani che si divertono a scaricare carriole di letame sui titoli originali. Questi deficienti prediligono due vocaboli: “amore” e “matrimonio” per accalappiare l’attenzione. Tutto sommato funziona con chi conosce solo quelle due originali parole, di certo non convince gli uomini, i lettori del libro di Roth, quelli che leggono “Lezioni d’amore” e fanno penzolare la lingua di lato emettendo un bleahhh.
Non aiuta neanche il trailer che trasforma l’intera vicenda in una sordida storiaccia di gelosia e ossessione. Guardatevelo, sembra un thriller a basso costo, ma non è tutto.
Tolto il fatto che il libro non mi è piaciuto al tempo e non mi piacerà mai perché Roth chiude la vicenda pescando dal mazzo una carta banalissima da scrittore di mezza tacca, speravo in un guizzo finale e invece il film è fedele al romanzo. Quello che mi chiedo è: se la sceneggiatura è così “leale” perché hanno scelto Penelope Cruz (classe 1974) per interpretare una giovane studentessa ventiquattrenne? Nel libro, Consuela Castillo è una donna fatta e finita a quell’età, ma non si può pensare che basti un cerchietto e una frangetta per rendere la Cruz giovane. Regole del cinema, hanno imposto l’attrice direte voi, ma la Cruz è davvero fuori posto e sballa tutto il film.
Spiace che un progetto così debole sia stata affidato alla sorprendente regista Isabel Coixet che ce l’ha messa tutta per far la differenza (la trama non è delle più brillanti) e che è stata tanto intelligente da non concentrare l’attenzione sulle scene di sesso che nel libro abbondano.
Un consiglio: mettete da parte questo e recuperate “Le cose che non ti ho mai detto”, “A los que aman” ma soprattutto “La mia vita senza me” entrato di diritto tra i miei film preferiti.
E no, nonostante i titoli, non sono film da femmine.

Quanta ignoranza

star-trek-spock1Davide: Stasera cinema?
Pungola: Sì, cosa andiamo a vedere?
Davide: Star Trek!
Pungola: Cosa?!
Davide: Senti qua, Spock, scoperto il piano, tornerà anche lui indietro nel tempo per proteggere il suo miglior amico e si unirà con lo Spock del passato per salvare Kirk, e il futuro dell`universo.
Pungola: Aspetta Kirk è quello con le orecchie a punta?
Davide: No, quello è Spock…

Schermi d’Amore /3

los-girasoles-ciegos-posterLos girasoles ciegos, Spagna 2008 di J.L. Cuerda
sezione Concorso

Uno di quei film spagnoli che si spera non oltrepasseranno mai il confine. Pensate alle peggior fiction televisive…ecco, “Los girasoles ciegos” non è solo una di quelle, ma addirittura un film diretto da un regista che, a quanto leggo, ha fatto man bassa di premi.
Comunque qui parliamo di questa pellicola imperdibile ambientata ai tempi del franchismo dove Elena si barcamena tra un marito perseguitato politico che deve nascondersi in una nicchia, una figlia incinta che fugge con il fidanzato ricercato dalla polizia, il figlio Lorenzo e Salvador, un giovane diacono che vuole strapparle la gonnella.
Salvador ha la tipica faccia da sporcaccione con sguardo lubrico, infoiato si sfoga con un cuscino e poi corre dal superiore per incolpare la tentatrice Elena.
Sembra che banalizzi l’intera vicenda, ma è di questo che si tratta, del solito pretuccolo con le voglie. Bocciato alla grande.

flyer_tandoori-loveTandoori love, Svizzera/Germania/Austria 2008 di O. Paulus
sezione Concorso

Schermi d’Amore chiude la sezione Concorso con il botto. Se c’era un film su cui non avremmo scommesso una cicca, questo era proprio “Tandoori love”, un musical in stile Bollywood ambientato tra le montagne svizzere. È qui che Rajah, cuoco indiano al seguito di una diva che sta girando un film, incontra Sonja fidanzata con Markus.
Rajah è uno chef formidabile e viene assunto da Markus per lavorare all’Hirschen, caratteristica taverna del posto. L’indiano non ci penserà due volte, pianterà in asso l’intera produzione e si trasferirà all’Hirschen per conquistare il cuore della bella Sonja.
Come avrete capito è una commedia demenziale intervallata da serenata improvvisate in una corsia del supermercato e altre scenette esilaranti di questo genere ed è un esperimento perfettamente riuscito. Un applauso al regista Oliver Paulus.

Due parole sulla sezione Panorama quest’anno asciugata, ma che ha riservato qualche sorpresa e che tento di ricordare nonostante i film fossero proiettati dopo mezzanotte.

depart300Le grand départ, Canada 2008 di C. Meunier

Meunier, celebre autore comico candese, conferma la sua verve in una commedia intelligente sugli “innamoramenti tardivi”. Jean Paul, fascinoso cinquantatreenne s’innamora della giovane Nathalie, molla la famiglia e si trasferisce da lei, ma moglie, figli e addirittura gli amici gli remano contro.
Riuscirà Jean Paul a rifarsi una vita?
Molto bravo il protagonista (Marc Messier) e anche gli interpreti secondari. Indovinata la figura dell’esperto che traccia un’analisi dell’iter amoroso e spiega al pubblico che, nonostante il gap generazionale, i rapporti di coppia di questo genere funzionano alla perfezione perché il più vecchio, prima o poi, schiatta (!). Da tener d’occhio questi canadesi.

Espion sEspion(s)
, Francia 2008 di N. Saada

Ritmi serrati e un certo fascino retrò, per questa storia di spionaggio: Vincent, addetto ai bagagli all’aeroporto, fruga nelle valigie assieme al collega che un giorno trova un esplosivo e ci rimane secco. Scoperto, per sottrarsi alla denuncia, accetta di collaborare con i servizi segreti per smascherare i traffici illeciti di un uomo d’affari e per avvicinarlo, il bersaglio sarà la moglie.
Un aggettivo? Convincente.

Schermi d’Amore /2

tokyo sonataTôkyô sonata, Giappone/Olanda/Hong Kong 2008 di K. Kurosawa
sezione Concorso

Una famiglia giapponese all’apparenza normale, ma che nasconde insanabili crepe: il padre disoccupato non confessa di aver perso il lavoro; un figlio vuole arruolarsi nell’esercito, l’altro è un bambino prodigio che di nascosto prende lezioni di piano; la madre tenta di raccogliere i cocci.
Film stupefacente dall’epilogo strappa-anima,
"Tôkyô sonata” si colloca sul podio accanto alla vincitrice Deepa Mehta. Punto di partenza e di arrivo è la casa, teatro di scontri dove tutti tentano di far sentire la loro voce, perdendo sì le staffe, ma frapponendo quei silenzi che nel nostro cinema e nella nostra cultura non esistono. Può succedere davvero di tutto eppure quando i segreti vengono a galla e irrompono in una realtà famigliare sbriciolata, regna il silenzio forse ultima forma di dignità.
Kurosawa non si limita a tratteggiare la solita famiglia attenta alle convenzioni sociali, fa di più perché inserisce l’elemento perturbante della contemporaneità e quelle scene che in sala sollevavano qualche risatina (il padre che esce la mattina vestito di tutto punto fingendo di andare a lavorare e mangia alla mensa dei poveri o il collega disoccupato che programma il cellulare per suonare ogni dieci minuti), non fanno che costituire il quadro drammatico di un Giappone all’apparenza perfetto, ma che cede il passo ai tempi.

empreinte angeL’empreinte de l’ange, Francia 2008 di S. Nebbou
sezione Concorso

Ad una festa di compleanno Elsa nota una bambina, Lola. La donna raccoglie informazioni, cerca di avvicinare con ogni pretesto la bambina diventando amica della madre, ma nel frattempo trascura il figlio; i genitori e l’ex marito si preoccupano. Chi le ricorda la piccola Lola?
Melodramma dalle tinte noir dove i colpi di scena sono dosati con parsimonia e arguzia, ben calibrato e diretto da Safy Nebbou al suo secondo lungometraggio. La ciliegina sulla torta è sicuramente l’impeccabile Catherine Frot (già vista ne “La voltapagine”) che rimane sempre entro i margini, insomma calata alla perfezione nella parte.
Un plauso alla musica (Hugues Tabar-Nouval) che segue passo passo la vicenda. Il film ricorda certi noir francesi, ma non lamentiamoci troppo, il risultato è notevole.

un roman policierUn roman policier, Francia 2008 di S. Duvivier
sezione Concorso

Su questo film potrei dire tutto il male del mondo. Assieme a “Los girasoles ciegos”, rappresenta lo scivolone sulla buccia di banana. A Venezia ho visto pellicole improponibili e immagino che sia una consuetudine inserire i cosiddetti “film riempifestival”, altrimenti non si spiega per quale motivo questa porcheria sia finita nella sezione Concorso. È un film pessimo e ridicolo sul duro lavoro di una pattuglia in un quartiere difficile di Marsiglia. Emilie, il capitano della squadra, prova un’irresistibile attrazione per la nuova recluta, Jamil. Già qui ne avremmo molte da dire, ma l’apice è raggiunto con l’assurda scena di sesso: Emilie in seguito a una sparatoria finisce in una piscina, Jamil la trae in salvo, la porta nella zona docce, i due tremano infreddoliti. Lui inizia a spogliarsi sotto la doccia calda e invita la donna a raggiungerlo per scaldarsi, questa, come vede la schiena ossuta di Jamil, si straccia le vesti. I due si accoppiano come in un film porno di serie Z.
Il resto è tutto un passo falso della regia e della sceneggiatura opera di Stéphanie Duvivier che farà un piacere a tutti: cambierà lavoro.

heaven-on-earthHeaven on earth, Canada 2008 di D. Mehta
sezione Concorso

La giovane Chand dall’India si sposta in Canada, a Brampton, per sposare Rocky, un uomo mai incontrato prima. Difficile ritagliarsi un posto nella famiglia allargata di lui, in una casa piccola e soffocante e non bastano le angherie della suocera, Rocky è violento e massacra di botte Chand. La ragazza costretta a lavorare in fabbrica e a versare lo stipendio nelle tasche del marito, fa amicizia con Rosa che le regala una radice magica assicurandole che se Rocky la berrà s’innamorerà all’istante di lei, ma gli effetti saranno imprevedibili.
Parlare di “Heaven on earth” è pressoché impossibile perché è un’opera difficile che bisognerebbe riguardare e analizzare con meticolosità. Aspettando che esca in dvd, posso dirvi che è un film favoloso non solo perché è della grande Deepa Mehta (ricordate “Water”? Filate a recuperarlo), ma perché c’è una dimensione fiabesca elevata al cubo: Chand si rifugia in un mondo immaginario dove non riesce più a distinguere realtà e fantasia e nemmeno lo spettatore riesce a farlo. Non è fondamentale conoscere la leggenda che permea la storia o capire perché le immagini virano arbitrariamente in bianco e nero, l’importante è farsi incantare da questo film, tralasciando per 106 minuti di dire “non è possibile che questo accada”. Farsi incantare non significa spegnere il cervello, ma attivare quella facoltà che ha bisogno di essere allenata ogni giorno ovvero la sensibilità. Speriamo che questo capolavoro venga distribuito in Italia.

Schermi d’Amore /1

Come avrete intuito, non sono riuscita a scrivere le recensioni giorno per giorno perché mi sono divisa tra la stazione del treno e il cinema. Ora ho tutta la calma per raccogliere le impressioni sui film visti.

a year ago in winterA year ago in winter – Im Winter ein Jahr, Germania 2008 di C. Link
sezione Concorso

Una madre si rivolge al pittore Max Hollander per commissionargli un ritratto dei figli: Lilli è una ragazza scontrosa che vive una vita disordinata, il fratello è morto in un incidente.
Riduco la trama a due essenziali righe per puntare il dito contro la regista che confeziona un bel pacchetto con tanto di fiocchi e nastrini dal contenuto banale e deludente.
Caroline Link sei stata beccata! Credi davvero che tutti gli spettatori siano così sciocchi da non accorgersi che questo è un film furbetto? Sei riuscita a incantare la maggior parte del pubblico, ma sappi che gli osservatori attenti hanno subito scoperto il tuo giochetto.
Oltre ad essere un film sbagliato, allo sbando, con lungaggini imperdonabili, assenza di ritmo, disarticolato, privo di struttura narrativa, c’è proprio quell’odiosa volontà di fregare gli astanti proponendo personaggi che rientrano nell’immaginario collettivo: l’artista forse omosessuale, la ragazzina sofferente che per ripicca si fa sbattere dal belloccio stronzo che la pianta, la madre straziata dal dolore che guarda dalla finestra, il padre assente con l’amante.
Il pubblico viene fagocitato dalla storia al punto di commuoversi senza rendersi conto che la scena finale (Lilli che si abbandona alla musica e balla in una sala vuota, la madre che torna nel luogo dove è morto il figlio e piange abbracciando l’albero) è un insulto all’intelligenza. Si può dire che questo film sia un concentrato della robaccia che ci propinano quotidianamente ed è proprio per questo che è piaciuto tanto.
Una cocente delusione dalla regista premio Oscar di “Nowhere in Africa”.

una-palabra-tuyaUna palabra tuya, Spagna 2008, di A.G. Sinde
sezione Concorso

Rosario vive un presente incerto a casa della madre quando incontra una vecchia amica, Milagros. Le due perdono il lavoro, gozzovigliano infischiandosene del futuro finché i soldi finiscono e accettano un lavoro come netturbine, ma gli imprevisti non tardano a presentarsi…
Detto così il film pare la solita menata sulla precarietà dell’esistenza, ma l’intreccio è molto più complesso di quanto possa riportare senza svelare i colpi di scena. È tra i film che più mi hanno colpito nella sezione Concorso per l’incredibile equilibro tra drammaticità e commedia. L’effetto è destabilizzante perché un momento prima si ride e un momento dopo si soffre, ma, ripeto, è straordinariamente equilibrato e soprattutto è una storia insolita e curiosa.
Indovinata l’ambientazione, Madrid notturna mai città da cartolina e le interpreti, una coppia spassosa e memorabile.
Qualcuno ha detto che gli spagnoli non riescono ad allontanarsi dal grande Almodóvar: io non saprei dato che le pellicole spagnole non oltrepassano il confine. Per me rimane un ottimo film.

country weddingCountry wedding – Sveitabrudkaup, Islanda 2008 di V. Oskarsdottir
sezione concorso

Il giorno delle nozze è arrivato, sposo e sposa con i rispettivi parenti salgono a bordo di due pullman distinti partendo da Reykjavik per raggiungere una chiesetta in campagna. Lo sposo è il solo a conoscere la strada, ma pur di non attraversare un tunnel, fa una deviazione perdendosi. Riusciranno Auoor e Baroi a sposarsi?
In questo primo lungometraggio di una delle montatrici più accreditate (Eternal sunshine of the spotless mind, Festen, Scoprendo Forrester, The new world) spiccano appunto il montaggio e la fotografia. Il problema è che a un certo punto, pur apprezzando il registro surreale, cala la palpebra perché l’azione (se così vogliamo chiamarla) si svolge unicamente sui pullman o, al massimo, sullo sfondo del desolante paesaggio islandese. Sarà che la regista segue i precetti del Dogma 95? Sarà che è lontanissimo dalla nostra sensibilità? Sarà quella camera a spalla che rende questo “road movie” statico? Ad ogni modo, da vedere.

naked kitchenThe naked kitchen – Ki-Chin, Corea del Sud 2008 di H. Je-Young
sezione Concorso

Mo-rae sposata con Sang-in cerca un regalo per l’anniversario di matrimonio. In una galleria d’arte incontra Du-rae con il quale ha un inaspettato amplesso. Mo-rae torna a casa preoccupata e chi incontra? Il marito ha assunto proprio Du-rae, abile chef, per preparare una prova culinaria. La convivenza a tre non sarà una passeggiata.
Bizzarro triangolo amoroso, The naked kitchen non dice qualcosa di nuovo, ma colpisce per l’approccio alla materia. Trovo interessante vedere come la prendono questi coreani: da noi per un tradimento volerebbero coltelli, loro optano per il silenzio e chi sa finge di non sapere.
Non sarà un film da strapparsi i capelli, ma è piacevole, leggero, affronta la questione con tatto. È un cinema “per immagini” sapientemente costruite, quasi delle fotografie e la scena iniziale basta e avanza per promuoverlo (oltre ovviamente all’ineccepibile tecnica).
Dicono che la regista sia una nuova esponente del cinema coreano femminile. Non è proprio un inizio scoppiettante, ma attendiamo: si farà.