Caro amico ti scrivo

Per venire incontro alle mie scarse capacità creative, rispolvero una vecchia rubrica.

Il personaggio di oggi è Morgan

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Caro Morgan,
così non si fa. Prenderci tutti allegramente per il culo, spacciandoti per artista raffinato, cantautore elegante, personaggio di una certa levatura e poi andare a un reality del cavolo.
Che tu non sia tanto giusto lo si era capito, basta vedere che razza di compagna ti eri scelto, roba che se me la trovassi io accanto di notte, ci lascerei le penne.
D’altronde si sa, al cuor non si comanda, ma la testa cerchiamo di usarla.
I Bluvertigo erano un gruppo sbalorditivo, il tuo esordio una bomba con “c”, stavi andando bene, anzi benissimo e poi mi toppi così, scivoli su una simile buccia di banana per non dire altro.
Sniffare lo smalto per le unghie secondo me ti ha bruciato il cervello, scusami se mi permetto.
Vivi e lascia vivere è il mio motto, ma buttati sui libri, fonda una nuova band, improvvisati regista, trasformati in un pittore visionario…stai alla larga dalla tv! La tv è il diavolo, non lo sapevi?
Una sera sono venuta a un tuo concerto. Bellissimo, intenso, un po’ troppo lungo forse, ma tu su quel palco eri un dio e adesso vuoi metterti in mostra davanti alla telecamera.
Sei ancora in tempo per fare un passo indietro e rifugiarti tra le tue note.
Morgan ti prego torna, tornaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

Sto ascoltando: Morgan – Canzoni dell’appartamento

Cari libri

Caro amico cara amica,
lo sai che i dati Istat confermano un calo nella lettura nel 2007? I risultati dicono che solo 43 italiani su 100 leggono almeno un libro in un anno. Un libro.
Devi sapere che chi legge tanto, legge ancora di più, mentre chi legge poco, legge ancora di meno.
Non prendere paura, lungi da me farti la lezioncina sull’importanza della lettura.
Tu puoi impiegare il tuo tempo libero come meglio ti aggrada, a me che me frega?
Sappi però, che circolano delle brutte voci sulla lettura, tipo che i libri costino troppo. Mi trovi pienamente d’accordo, neanch’io spenderei 15 euro se non più, per un solo libro. Per molti libri invece, sì.

Settimana dal 18 al 24 febbraio.
Libri acquistati:
1. Addio Gul’sary, Ajtmatov, Mursia € 1
2. Quei favolosi anni da cani, Viewegh, Mondadori € 1.50
3. Poesie in prosa, Turgenev, L’argonauta € 1
4. La principessa Zizi, Odoevskij, L’argonauta € 1
5. La leggenda del libro che non c’è, Wharlon, Sperling & Kupfer € 1.50
6. All’alba di una nebulosa giovinezza, Platonov, Mondadori € 2.50
7. L’uomo che portava felicità, Federspiel, Edizioni € 0.50
8. Il richiamo della foresta, Zanna bianca e altre storie di cani, London, Newton Compton € 4.80
9. Racconti sentimentali, Zoscenko, Editori Riuniti € 0.99
10. Le confessioni, S. Agostino, Bur € 4.90

Tot. € 19.69 – Libri acquistati: 10

Ho preso in considerazione una settimana un po’ particolare e non pensavo di aver comprato tanti libri, ah!
Potrai dirmi: “Scorrendo la lista, cara pungola, penso che i tuoi gusti letterari facciano alquanto schifo. Noto strani scrittori di cui ignoravo l’esistenza e sono libri che io non leggerei mai .”
Non posso darti torto, ma sai spendere 18 euro per l’ultimo di Follet, non mi pare un affare.
Questi sono libri che occupano poco spazio in libreria, le copertine sono morbide, puoi comodamente leggerli a letto senza che i tre chili di Follet ti spacchino lo sterno e hanno al massimo 150 – 200 pagine facilmente leggibili in una settimana.
Tralascia i titoli in oggetto (in passato ho scovato Moravia, Tabucchi, Poe, Tozzi, Calvino, Mann, Bachmann…) e guarda il prezzo.
Ho approfittato dello sconto del 30% della Bur e del 20% per la Newton, due libri li ho acquistati a peso all’ipermercato (5 euro a chilo), il resto arriva da una libreria Reminders e da un’altra che elimina le scorte in magazzino.
I libri costano troppo: vero o falso? FALSO (se hai la pazienza di cercarli).

Sto ascoltando: Baustelle – Amen

Un libro alla settimana

Il libro di oggi è L’uomo sentimentale di Javier Marías

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Nello scegliere i libri affidatevi al vostro istinto, potreste incappare in piacevoli sorprese.
È successo così: bighellonavo in libreria quando lo sguardo si è posato su un mucchietto di libri accanto la finestra. Ho visto un volumetto dalla copertina poco attraente, ma dal titolo perfetto “L’uomo sentimentale”. L’ho preso in mano, ho letto il nome dell’autore e ho fatto appello alle mie conoscenze, ma niente. Marías non mi diceva niente.
Nonostante eviti accuratamente di comprare libri di cui non so una cippalippa, quel libro aveva un titolo troppo affascinante per lasciarlo lì dov’era.
Questo lungo preambolo, per dirvi che quel giorno non ho solamente acquistato un libro straordinario, ma mi sono addirittura innamorata di questo libro, non solo dal punto di vista strettamente letterario.
Ho avuto un rapporto fisico con “L’uomo sentimentale”. Ho preferito le ore notturne per leggerlo (me lo sono portata a letto e l’ho volutamente posato sul cuscino appena prima di addormentami per averlo accanto), l’ho sottolineato, segnato, ho fatto la classica “orecchia” alla pagina e terminata la lettura sono stata colta da un profondo senso di prostrazione. Ditemi voi, se non è fisico questo…
Riassumere la trama è quasi riduttivo. È una storia d’amore fatta di un prima e di un dopo, di un’attesa e di un ricordo, di un presente non vissuto, ma di un futuro sospirato e di un passato accennato.
Il protagonista, un famoso tenore catalano, Natalia donna afflitta da dissoluzioni malinconiche e il signor Manur, dagli occhi color cognac marito di Natalia, sono gl’interpreti di un bizzarro triangolo amoroso.
Di solito evito le storie che parlano d’amore perché scivolano tutte nello scontato e nel banale, ma questa è diversa perché Marías non ci ammorba con inutili paginette di amplessi, baci, screzi e finti sentimenti, ma c’insegna che è l’immaginazione il combustibile dell’amore.

[…] si limitavano a giacere per otto ore cancellate dalla memoria diurna in uno stesso letto, senza guardarsi, senza toccarsi, senza neppure sfiorarsi nei sogni, due corpi vicini notte dopo notte e reciprocamente dimenticati da anni.
(L’uomo sentimentale, Javier Marías, Einaudi)

Ma che idee ti vengono?

Domenica, Fabio Volo era a Verona per presentare il nuovo libro e io potevo mancare all’appuntamento? Figurarsi!
Vi evito il pippotto su Fabio. Lo seguo da anni, lo ascolto ogni mattina e mi piace tantissimo. Cerco di mantenere una certa obiettività e infatti posso dirvi che l’ultimo libro non mi ha convinto del tutto, ma nella vita si può inciampare, capita.
Io provo un profondo senso di gratitudine nei confronti delle persone che m’insegnano qualcosa, qualsiasi cosa. Chi mi consiglia bei libri da leggere, chi mi consiglia buona musica da ascoltare, chi addirittura m’impartisce lezioni di vita, chi mi aiuta a riflettere, chi perde del tempo per rispondere a una mia mail e mi spiega qualcosa che non ho capito.
Fabio, se lo ascoltate la mattina lo sapete, consiglia musica, libri, legge poesie e io annoto diligentemente tutto su un block notes. Grazie a lui ora ascolto Nick Drake, Jeff Buckley, Cat Stevens, leggo Kavafis, Hikmet, Lorca e ho visto film bellissimi.
Il pippotto alla fine l’ho fatto…
Per questo motivo, domenica ho deciso che volevo ringraziarlo in qualche modo e gli ho preparato un pacchettino con varie cose all’interno, libri e pagine di libri.
Mi sento stupida a raccontarlo, figurarsi a consegnare il pacchetto. Tra l’altro, mi ricordo che c’è sempre gente che consegna qualcosa a Fabio. Una volta ho visto una coppia che gli regalava una bomboniera del matrimonio, donne che gli lasciano libri e hanno il coraggio di dire – Ciao Fabio, mai sentito parlare del bookcrossing? Ti ho lasciato in prima pagina il mio numero…-.
Lasciatemi aprire un siparietto sull’argomento “donne”. Consiglio caldamente agli uomini in cerca di compagnia di andare alle presentazioni dei libri di Fabio. Donne a mazzi, di tutte i tipi, di tutte le età, disposte a tutto. Il loro primo pensiero è accoppiarsi con Fabio, ma magari va bene anche a voi.
Domenica è avvenuta una cosa pazzesca: prende la parola una donna che dice a Fabio – Sono un po’ emozionata, sai sono della rivista cavalli e segugi -. Mormorio in sala, risatine.
Tutti si guardano con aria interrogativa, Fabio scuote la testa.
Viene fuori che la mentecatta si riferisce al film Notting Hill in cui Hugh Grant cerca d’intervistare Julia Roberts, il motivo non lo ricordo.
S’intuisce che certa gente le frasi se le prepara, le pensa di notte e ha la faccia tosta di dirle. Cosa voleva la tipa? Baciarsi Fabio, infatti ha proprio chiesto – Posso venirti a baciare? -.
Tanto per farvi capire il clima che si respirava in sala.
La presentazione si conclude e la gente accorre per farsi autografare il libro, cosa che Fabio non ama fare, preferirebbe chiacchierare altri dieci minuti e poi andare via.
Fabio VoloMi metto in fila, la gente scorre con una certa velocità visto che Fabio firma e bacia, firma e bacia, arriva il mio momento, lui si distrae un attimo, afferra il pacchetto, la punta della penna si avvicina pericolosamente, lo guarda, chiede – È per me? -, io rispondo – Sì, è per te -, lui lo appoggia sul tavolino, io faccio in tempo solo a dire – Bè…guardalo -, lui dice – Certo che lo guardo -, mi si avvicina, io sento una barba pungente e vado via.
Mi sento stupida, so di aver balbettato, sono sicura che quel pacchetto farà una brutta fine, spero che un barbone lo raccolga da un cestino, lo venda e ci faccia quattro soldi.
Vedo il pacchetto sul tavolino, la sala si svuota, sono l’unica che gli ha portato qualcosa.
Un ultimo sguardo prima di andare via: una ragazza (assistente? Fidanzata? Ladra?), agguanta il pacchetto e lo infila nella sua borsa.
Lo sapevo, era troppo carino, se l’è ciulato.

Se lo conosci, lo eviti

Ah ah. L’ho visto e l’ho riconosciuto. Chi? Ma lo scrittore dei nostri tempi, quello che va di moda adesso. Non hai idea di cosa parlo? T’insegnerò a riconoscerlo e ad evitarlo.
Dunque, partiamo da una mera descrizione fisica. Non esiste più lo scrittore brutto, gobbo, chino sulle sue carte, quello era un povero sfigato. Lo scrittore odierno è un tipo affascinante, un belloccio, diremo. Piace alle donne, piace agli uomini, piace a tutti. Si riavvia spesso con la mano i capelli folti e scuri, è sbarbato, non porta gli occhiali e si cura perché non prendiamoci in giro: non si può trascurare il proprio aspetto fisico. I denti non li mostra quasi mai perché non ama sorridere, lui è un tipo serio. Ammicca a caso alle donne in adorazione. A te sembra sempre di più un tipo inquietante e ti sbagli. Se intercetti il suo sguardo vuol dire che ti ha puntato e che potresti essere la sua prossima preda. Vuoi mettere fare all’amore con uno così? E uno che ti dice – se dobbiamo farlo, facciamolo in fretta, che io posso abbandonarmi ai piaceri della carne solo per pochi minuti al giorno e lo faccio per sondare l’insondabile umano -.
Scusate se è poco.
Passiamo all’abbigliamento. Cappotto e sciarpa scuri, abito di velluto marrone d’alta sartoria, camicia tendente al paglierino leggermente sbottonata. Mai la cravatta: troppo accademico.
Che stile, gente.
Tantissimi tic nervosi perché lui è un tipo tormentato. Aggrotta le sopracciglia, si allontana dal microfono a intervalli regolari, alza gli occhi al cielo, si stropiccia la faccia, lancia occhiatacce al pubblico (voi che non siete neanche lontanamente consapevoli della vostra ignoranza).
Solo quando apre bocca, credetemi, inizia lo show. Infila parole sconosciute ai più, una dietro all’altra. La voce è profonda, appena udibile. Parla veloce, pare un telegrafo. Se riuscite a intuire cosa dice, siete fortunati. Vive di citazioni e passa da un riferimento all’altra come un ginnasta sulle parallele.
La gente lo guarda con occhi sgranati e sorriso beota, arenata ancora sulla prima parola.
Sembra dotato (tutta impressione) eppure nessuno lo conosce – come hai detto che si chiama? Ah…mai sentito…-.
É spocchioso, saccente, antipatico da far venire l’orticaria, ma se ne frega.
Questi obblighi di presenza lo allontanano dalla sua missione: portare la parola nel mondo ed elevarsi sopra le masse.

Un libro alla settimana

Caro lettore,
è giunto il momento tanto atteso di presentarti uno tra i miei scrittori preferiti: Bulgakov.
Forse non saprai che io nutro una profonda passione per la letteratura russa.
Appresa questa notizia, so per certo che avrai abbandonato questo blog, ma fai male perché oggi parliamo di…

Cuore di cane
di Michail A. Bulgakov

cuore di cane
Piccolo libro, grande piacere.
Si narra delle avventure tragicomiche di un cagnolino, Pallino, sottoposto a un esperimento da un pazzo luminare che gli trapianta l’ipofisi e le ghiandole seminali di un ladro morto.
Pallino diventa così un cane-uomo: assume sembianze umane, conserva atteggiamenti canini ed eredita le abitudini negative dell’avanzo di galera: si ubriaca, bestemmia, fuma, ci prova con le donne, rincorre i gatti, è invaso dalle pulci.
Questa vicenda è inserita in un contesto reale perché Pallino interagisce con le persone e la faccenda viene trattata come qualcosa di assolutamente normale. Si ha quasi l’impressione che un fatto del genere possa accadere sul serio.
Un aggettivo? Grottesco.
Il sorriso amaro che affiora sulle labbra del lettore non è dato solo dalla presa di coscienza della stupidità umana ma anche dalla consapevolezza che Bulgakov tramite questa vicenda voleva puntare il dito contro il cambiamento della società sovietica.
Come dirà Cortázar:” […] scegliere un evento reale o fittizio che possegga quella misteriosa proprietà di irradiare qualcosa oltre se stesso al punto che divenga il riassunto implacabile di una certa condizione umana o il simbolo scottante di una situazione sociale o storica”.
E in questo, Bulgakov è un grande.

“Pallino io? Pallino vuol dire tondo, ben nutrito, stupido, uno di quelli che si rimpinzano di polentina, un figlio di genitori eminenti, mentre io sono qui arruffato spilungone, sbrindellato vagabondo sfiancato cane randagio.”
(Michail A. Bulgakov, Cuore di cane, Bur)

Una giornata memorabile

(E che cavolo! Avevo scritto un fantastico post e ho perso tutto! Maledetto word, maledetta testa! A 23 anni non ho ancora imparato a salvare!)

compleanno1Oggi è il mio compleanno. Buon compleanno.
Non ricordo una giornata di sole come questa. Ogni anno, puntualmente, l’undici febbraio piove.
Più il tempo passa, più mi chiedo a cosa servano i compleanni.
In tenera età si organizzano festicciole allo scopo di ricevere giocattoli.
Ora quella data sul calendario non serve solo per farmi ricordare gli anni che sempre più veloci s’inseguono?

In effetti, se mi concentro, riesco a ricordare un compleanno di tanti anni fa.
Quarta elementare, festa a casa mia. Tanti bambini e bambine (gli unici compleanni che riscuotono successo… poi, vedrai, nessuno ti farà più gli auguri) che giocano.
Fuori, alcuni s’inseguono, “ti prendo, ti prendo, tua!”. Corrono come dei pazzi intorno al giardino…all’improvviso la tragedia!
Davide (ero perdutamente innamorata di questo ragazzino, scrivevo fiumi di lettere piene di cuoricini e lo faccio ancora adesso) più alto e più grande degli altri, s’impiglia nello spago per stendere che mia mamma si era dimenticata di togliere.
Io non so se riesco a rendere visivamente la scena, vediamo: Davide arriva di corsa, a gran velocità, appoggia la fronte allo spago, robusto e ben teso, che lo respinge all’indietro e lo fa cadere per terra.
Quante volte siamo caduti per terra da bambini? Non è morto nessuno, giusto? Eppure la madre accorre, in preda al panico, vuole chiamare l’ambulanza. Una delle tante stupide madri che investono di paure i propri figli. Davide si sarebbe rialzato e avrebbe ripreso a correre, ma le urla della madre lo terrorizzano.
La festa va a ramengo, i bambini si dileguano trascinati dalle madri, la sorella di Davide, passata in un nanosecondo da mia migliore amica a mia peggior nemica, mi eviterà per l’intero anno scolastico.
Tanto per farvi capire che la stupidità e la crudeltà è insita dentro di noi e salta fuori anche a dieci anni.
Davide, tanto per la cronaca, vivo e vegeto, è un deficiente patentato, mica per la botta, lo è sempre stato.

Sto ascoltando: Muse – Black holes and revelations

Un libro alla settimana

Non dovrei proporvi un libro anche oggi, – altrimenti sembra che io voglia scrivere solo di libri ed è proprio quello che vorrei fare, – ma non posso proprio abbandonare la rubrica al suo destino.

Il libro di oggi è Pensieri crudeli di Ugo Riccarelli

pensieri-crud
Perché scelgo proprio questo libricino di racconti tra tutti i romanzi di Ugo Riccarelli?
Semplice: proprio questo prezioso libretto mi ha fatto conoscere un grande scrittore.
Vi rimando a un post su un incontro avvenuto il giugno scorso dove ho avuto il piacere di conoscerlo e ho acquistato questo piccolo scrigno che tengo tra le mani. Undici brevi racconti che s’infilano tra le pieghe della memoria, che ho letto, riletto e rileggerò.
Questi racconti mi hanno fatto vacillare e ho seriamente pensato che non avrei mai più stretto tra le mani una penna. So che non scriverò mai un racconto come In merito alla morte di W.A.Mozart.
Capite, perciò, con chi abbiamo a che fare e perché vi consiglio di precipitarvi in libreria?
Sarebbe inutile raccontarvi le trame dei singoli racconti, posso dirvi però che in queste storie le persone non si macchiano delle crudeltà che immaginate.
Può essere crudele un pensiero o un gesto, conscio o inconscio. Vi faranno riflettere e capire che un po’ tutti siamo crudeli proprio perché siamo umani.

“Si vede che cammini, verso casa e anche da come cammini si vede che non mi vuoi più bene.”
(Pensieri crudeli, Ugo Riccarelli, Giulio Perrone Editore, 2006)

Sto ascoltando: Battiato – La cura

Un libro alla settimana (fuoriprogramma)

In passato abbandonavo i libri che non mi piacevano. Ad un certo punto non riuscivo a continuarne la lettura, era più forte di me. Li riponevo nella libreria, lasciando il segnalibro sull’ultima pagina letta, ma non li dimenticavo. Ci passavo accanto e mi chiedevo se mai sarei riuscita a riprenderli in mano.
Una delle delusioni più grandi per me è proprio leggere un libro che non mi piace perché nella mia testa tutti i libri per il sol fatto di essere libri sono grandiosi.

Due settimane fa mi sono imbattuta in questo libro – La casa del sonno di Coe -.
Tutti ne parlavano bene da anni e l’ho preso, “violentadomi” in un certo senso. Uso questo termine forte per farvi capire che faccio molta fatica a leggere la letteratura contemporanea.
Nei “libri moderni” come li chiamo io, manca sempre qualcosa. Io sento che manca qualcosa.
Ho inframmezzato questo libro con un breve racconto di Mann e ho notato la differenza per quanto riguarda profondità di senso, introspezione, stile, lessico.
Ovviamente vi sono le eccezioni, vedasi Cavina e altri scrittori che avrò modi di presentarvi nel corso di queste settimane (oh oh).
Tornando a Coe, si sarà capito che il libro non mi è piaciuto e che penso di aver buttato soldi e tempo. Riluttante ho terminato la lettura perché non voglio più abbandonare i libri a metà, ma ho fatto una faticaccia.
A metà già non ne potevo più. La trama era una sorte di bosco intricato, più avanzavo più m’impigliavo tra nomi, fatti, personaggi e non vedevo la luce del sole filtrare tra i rami.
Una costruzione eccessiva, finta, impossibile. Non mi sembrava di leggere un libro, ma di risolvere un’equazione complicata e noiosa. Le storie dei personaggi si perdevano tra le pagine e lo scrittore le ripescava creando improbabili legami, situazioni paradossali e tutto aveva l’amaro sapore di “forzato”. Coe voleva forse far inghiottire al lettore un cucchiaio di olio di ricino?
Mi sono tornati alla mente quei film ingarbugliati, uno fra tutti Memento. Quel film mi è piaciuto, ma era un film.
Ora che ci penso questo libro mi sembra un romanzo tratto da un film. Senz’ombra di dubbio.
La conclusione poi, non è una conclusione, ma un’interruzione. Non spiega niente, non risolve niente e allora lasciatemelo dire: meglio Le avventure di Gordon Pym di Poe.
Da lettrice mi sono comportata come non avrei mai pensato di potermi comportare.
Per riuscire a finirlo, ho iniziato a leggerlo in ogni momento disponibile.
A volte capita che proprio non puoi aspettare, devi arrivare all’ultima pagina, il libro lo mangi, lo bevi, hai quasi un rapporto fisico con le pagine, la storia. Niente di tutto questo.
Si trattava di finirlo per non averlo più tra i piedi, per archiviarlo, per sbarazzarsene più in fretta possibile.
L’ho letto nelle pause pubblicitarie, con la tv accesa, ascoltando musica spagnola, pensando ad altro. Tutto, pur di finirlo.
Non so se ripeterò ancora la tremenda esperienza di terminare un libro a tutti i costi.
Forse lo farò, sbirciando di tanto in tanto Proust sul comodino.

Sto ascoltando: El vuelo – AA.VV.

L’ignoranza è una brutta bestia

Un giorno lessi sul giornale questo titolo – Troppi portoghesi sull’autobus -.

Mi fermai, portai l’indice davanti le labbra e dissi nel silenzio del soggiorno: “Troppi portoghesi? Cosa c’entrano i portoghesi con gli autobus? Come fanno a sapere chi sale sugli autobus? Vuol dire che ci controllano, che sanno chi siamo, dove andiamo, ci spiano…ma poi uno, come fa a riconoscermi se sono portoghese? Ce l’ho scritto sulla fronte? Lo capiscono da come parlo? E se fossi un portoghese muto? E se fossi un portoghese che parla in tedesco? No, io non saprei riconoscere un portoghese, non mi pare abbiano particolari segni distintivi. Posso dire con certezza – quello è un peruviano – ma solo perché una mia amica è peruviana e mi sembra che i peruviani assomiglino moltissimo alle cavie peruviane (con questo non voglio offendere i peruviani alla lettura).
E poi mi risulta che il Portogallo sia un paese piccolo…quanti abitanti avrà? Come possono concentrarsi tutti questi portoghesi sugli autobus della mia piccola città? Tra l’altro penso si tratti di un fenomeno largamente diffuso, non è un evento isolato, dal titolo mi pare che i portoghesi siano sempre sugli autobus e siano troppi. Non mi torna, non mi torna…”

Non so perché ma non approfondii la lettura dell’articolo, anzi non lo lessi proprio.
Continuai a pensare ai portoghesi sugli autobus e visto che mi capita spesso di prendere l’autobus iniziai a osservare la gente. Io proprio non riuscivo a distinguerli dalle altre persone, forse perché non avevo bene a mente la fisionomia dei portoghesi o forse perché sul mio autobus non circolavano molti portoghesi.

A distanza di tempo mi capitò nuovamente di leggere di questi benedetti portoghesi, ma non sul giornale locale, bensì sulla Repubblica, cronaca di Milano. Non era possibile, voleva dire che i portoghesi erano ovunque, ci avevano invaso e tutti a preoccuparsi dei cinesi.
Il Portogallo a questo punto doveva essersi svuotato, in Portogallo non c’era più nessuno.

Non mi tornava comunque, c’era qualcosa di oscuro, di misterioso in questa faccenda dei portoghesi.
Consultai il buon vecchio vocabolario.

portoghese
agg., n.m. e n.f.
1 del Portogallo, originario del Portogallo
2 secondo un luogo comune, si dice di chi entra al cinema o a teatro oppure viaggia sugli autobus senza pagare il biglietto.

Capii tante cose: meglio sempre leggere l’articolo per intero, consultare il dizionario e infine… anch’io sono portoghese.