Venezia, un anno dopo

Un anno fa, carica di aspettative, preparavo la valigia. Destinazione? Lido di Venezia, Mostra del Cinema. Prima volta e unica, molto probabilmente. I lettori di questo blog lo sanno, per i nuovi, sempre che ce ne siano, andò maluccio. In verità, al tempo fu uno schiaffo che mi scaraventò a terra, ma con il passare del tempo tutto si valuta e rivaluta. Dico “maluccio” solo perché riuscii a vedere una valanga di film, come esperienza fu davvero uno schifo. Ho fatto di tutto per sotterrare lo schifo, l’inverno ha congelato il ricordo, ma poi, arrivata l’estate, non ho più potuto prendere le distanze, nascondere la testa sotto la sabbia, “fare finta che”. La Mostra c’è essendo rassegna di cinema annuale e ho dovuto farci i conti. E allora la rabbia dei mesi passati si è trasformata in una profonda amarezza, in una potentissima fitta allo sterno ogni volta che leggevo una notizia riguardo i film in concorso. All’inizio volevo stracciare i giornali, ma la curiosità mi ha sempre fregato e allora leggevo sapendo di non poterci essere. Posso dire di aver sofferto per tante cose e lo dico senza paura di essere contraddetta da qualcuno più vecchio di me o di essere accusata di essere melodrammatica, d’ingigantire e travisare il senso delle cose.
Soffro adesso senza mai versare una lacrima perché preferisco annientarmi dentro. Non so affrontare la vita in modo diverso perché so che è impossibile per chi guarda da fuori capire. Come posso spiegare che quell’occasione mancata, questa occasione mancata, sono la constatazione di qualcosa che non va? Che dovrei essere là perché quella è la mia vita, non questa. Che mi sento sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato e che Venezia, un anno fa, era un posto sbagliatissimo, ma anche giusto. Che forse non ero pronta, che ero come una bambina che rimane appiccicata alla vetrina, che non ha il coraggio d’entrare, ma che ho visto dentro.
Per di più, la rivoluzione che progettavo sugli scalini del Casinò, aspetta, assopita da qualche parte. Quest’anno sono successe tante cose, anche molto brutte e molto tristi, ma non sono cambiate. Non è cambiato proprio niente.
Com’è stata bella e diversa la scorsa estate, ad attendere incapace di stare ferma sulla sedia quel giorno d’agosto, a prepararsi, a divorare libri di cinema, ad abbandonarsi a felicità piccole come comprarsi un paio di jeans che s’indosserà solo là, non prima.
Com’era sentire che si entrava in un mondo che non si era mai preso in considerazione, avvertire che nuove porte si sarebbero spalancate?

Un libro alla settimana

Oggi parliamo di: Avrei dovuto restare a casa di Horace McCoy

avrei dovuto restare a casaMcCoy iniziò a lavorare come sceneggiatore a Hollywood nel 1931 e proprio dal suo lavoro sul campo scaturì questo romanzo breve. I protagonisti, Ralph e Mona, sono due giovani pieni di belle speranze arrivati dalla provincia (Georgia e Oklahoma) a Hollywood. Sicuri che diventeranno divi del cinema, aspettano che qualcuno li chiami per fare le comparse, non hanno soldi per pagare la pigione o il conto al mercato.
Quando incontrano Mrs. Smithers, una ricca vedova che organizza party nella sua villa a Beverly Hills, si vedono proiettati nello sfavillante mondo delle celebrità, ma non sapranno sfruttare l’occasione a dovere, cederanno a compromessi umilianti per poi ritrovarsi con in mano un pugno di mosche.
Ralph che ripete più volte “Se ce l’ha fatta Gary Cooper posso farcela anch’io” ha l’animo di un bambino che tiene tra le dita il filo di un palloncino. Cammina con il naso all’insù, non guarda dove mette i piedi e quando inciampa, rimane carponi a vedere il palloncino che vola via.
McCoy è abile e spietato nel tratteggiare la città delle illusioni quanto nell’evidenziare l’ingenuità di coloro che nelle promesse di gloria rimangono impigliati. Mona più concreta dell’amico, caparbia e furba, risolve la situazione in modo deludente pur di non vivere nella misera; Ralph, tutto teso a diventare il divo del secolo, non cerca di migliorare quell’accento causa di rifiuto ai provini e cade tra le braccia della ricca vedova sicuro che l’aiuterà.
Ralph e Mona come tutti i personaggi che gravitano attorno a loro sono presenze inconsistenti che si perdono inseguendo miraggi, sperando nel domani, senza far nulla nell’immediato presente.

“Da Vine Street svoltai in Hollywood Boulevard, verso occidente, dicendomi che ero pazzo a confessarmi sconfitto. Non era tutto perduto. Ed io non ero a casa, ma ero qui, invece, sul celebre boulevard, a Hollywood, nella città dei miracoli, dove oggi, forse, o tra un minuto, qualche regista, passando, avrebbe potuto scritturarmi…”
(Avrei dovuto restare a casa, H. McCoy, 1938, il melangolo)

Grazie

Succede così: qualcuno spalanca la porta e ti dice "ho sentito alla radio che è morto Tullio Kezich" e tu senti il gelo anche se ci sono 40 gradi. Se n’è andato uno dei più grandi.

Il mio primo viaggio in treno

polly_treno
pungola: – Polly, ci racconti cosa hai fatto oggi?
Polly: – Con molto piacere. Oggi, per la prima volta, ho viaggiato in treno.
– Com’è andata? Confessa…hai avuto paura?
– Mi ritengo soddisfatta dell’esperienza. Si è trattato di un breve viaggio, venti minuti soltanto, una bazzecola per una come me che a due mesi o poco più ha lasciato mamma Sole al Sud per venire al Nord. Sono sempre in giro: Valtellina, Alto Adige…
– Ci risulta che per salire a bordo hai avuto bisogno di una piccola spinta…
– In effetti appena il treno è arrivato mi sono spaventata, io abbaio anche al furgoncino del panettaro! Fortunatamente la mia padrona mi ha issato sul vagone e abbiamo preso immediatamente posto. Poca gente, uno spagnolo voleva accarezzarmi.
– Come ti è sembrato il servizio offerto da Trenitalia?
– L’aria condizionata mi ha piacevolmente stupito, non è facile per una cagnetta a pelo lungo resistere a questi calori. Una ragazza cinese ci ha chiesto dov’era il bagno, ma non abbiamo saputo risponderle, in effetti il wc non era segnalato. Avrei da ridire sulla pulizia, ma meglio lasciare stare.
– Vuoi aggiungere un’ultima cosa?
– Come vedete non è difficile portarci in vacanza e se siamo educati possiamo venire ovunque. Voglio fare un appello: non abbandonateci, ma soprattutto fateci entrare in più bar, ristoranti, alberghi e condomini.

Dove scrivi?

Siete curiosi di sbirciare i rifugi di scrittura? Potete far di meglio: scattate una foto ai vostri e mandatela allegando, se vi va, una breve nota. Tutte le foto verranno pubblicate sul sito dell’associazione CaRtaCaNta.
Da un’idea del nostro Alberto:


Un posto per scrivere

Leggera e fresca come una bibita da sorseggiare sotto l’ombrellone, arriva la rubrica di mezza estate. Avete un angolo, nella vostra casa in città o nel vostro alloggio vacanziero, nel quale ritirarvi per scrivere? Vi capita di estrarre il portatile o il notes al tavolo del bar, nel foyer di un albergo o nella sala d’attesa di un aeroporto? Scattate una foto (in formato .jpg) e inviatela a info@cartacantalab.com. La pubblicheremo sul sito. E se avete qualche notarella da allegare, ben venga. Sarà un modo per tenerci in contatto, per inviarci una cartolina di saluti, un espediente obliquo per parlare di libri, di scrittura e sbirciare dietro le quinte della vostra attività creativa.

http://www.cartacantalab.com

Da vedere

gview.miniaturaLa debole corrente, 2008 di N. Leghissa – documentario

Nell’estate rovente si scova qualche perla rara come il documentario “La debole corrente” di Nicole Leghissa presentato nell’ambito della manifestazione “Ma che estate 2009” a Verona.
Nella seconda metà dell’Ottocento, Pietro Savorgnan di Brazzà esplora la sconosciuta Africa, più precisamente il Congo, tanto che la capitale Brazzaville porta ancora il suo nome.
Intento della regista era appunto portare sullo schermo la vita di questo avventuriero a piedi nudi che non usò la forza o la violenza e che, si dice, morirà pensando alle terre amate sconvolte dall’avvento dei conquistatori, sennonché nel 2006 i fatti prendono una piega inattesa. Su ordine del dittatore Denis Sassou Nguesso i resti di Brazzà vengono riesumati e trasferiti in un gigantesco mausoleo a Brazzaville. I congolesi assistono all’ennesimo sopruso del dittatore accompagnato da altri potenti, come l’allora presidente della repubblica francese Chirac, in una città che è una fogna a cielo aperto, ma dove il petrolio conta più di ogni altra cosa.
Con la collaborazione di Paolo Rumiz e le testimonianze di giornalisti e di alcuni discendenti dell’esploratore, il tratteggio dell’affascinante figura di Brazzà cede il passo ai meccanismi per noi imperscrutabili dei giochi di potere che si nascondono dietro una stretta di mano. Due esempi: il mausoleo in marmo di Carrara accostato alla scuola dedicata a Brazzà che cade a pezzi e non ha servizi igienici; le piattaforme petrolifere e le baracche dove vivono i congolesi.
È un documentario di alto livello sia per forma che contenuto, davvero da vedere e rivedere.