Un libro alla settimana

Oggi parliamo di Lapsus di Flavio Pagani

Lapsus
“Inclassificabile” è la parola che mi frullava nella testa mentre leggevo questo romanzo perché è inutile ricercare echi da inseguire. Flavio Pagani ha la sua voce e si fa sentire.
Nel sottotitolo c’è tutta la storia: ”Il romanzo di un favoliere che mozza una testa e di un investigatore che gli dà la caccia” e subito si pensa a un storia lineare, priva d’intoppi…niente di più sbagliato. Mentre il lettore viene risucchiato dalla storia e assiste sbigottito a una serie di eventi tutt’altro che ordinari, l’autore piazza delle trappole qua e là: giochi di parole, personaggi che si divertono a spuntare all’improvviso tra le pagine, frasi capovolte.
Lo scrittore ci punzecchia con spilli di fantasia per destare la nostra attenzione e voltare la pagina è come svoltare l’angolo: non sai mai chi potresti incontrare.
Il nostro protagonista, un cantastorie che tiene spettacoli di marionette in un piccolo teatro, percorre le strade di Milano detta anche “giungla d’asfalto”, la grigia metropoli dove non c’è più spazio per i sogni. Eppure il marionettista si fa largo con le sue favole tra automobilisti agguerriti e semafori assassini perché “[…] le fiabe sono proprio isole: sono scogli nel mare, oasi nel deserto, bagni nel mistero o radure nella giungla d’asfalto del mondo reale…”.
Il favoliere purtroppo si caccerà in un bel guaio e rifugiarsi nelle sue favole non servirà più a molto. Dovrà cambiare identità diventando irriconoscibile, fuggire nel Borneo, abbandonando moglie, figlia e marionette per scampare all’ira del potente Costantino Cresonte e alla tenacia dell’ispettore Bosettoni. Ma si sa, “tutti ritornano” e il cantafavole non riuscirà più a star lontano dai suoi affetti.
Siamo in presenza di un Ulisse strampalato che vive in esilio, un po’ per necessità, un po’ per volontà, che ama solcare i mari della fantasia, che non segue la retta via….così scriverebbe l’autore che non si risparmia in rime e filastrocche.
Scrivere cose per dirne altre, in questo Flavio Pagani è proprio bravo. Con il pretesto di raccontare una storia, inserisce tante considerazioni sulla società, sull’amore, sulla meschinità di certe persone, sul nostro modo di vivere, senza risultare mai banale o peggio pedissequo.
Non si tratta d’inseguire l’originalità a tutti i costi perché è chiaro fin dalle prime righe chi tiene saldamente in mano i fili della narrazione con un’abilità mirabile. A pag. 8, infatti, c’è la bussola per orientarsi: “Questa storia, infatti, non segue le rette di un quadrato, ma le linee curve di un cerchio dove tutto, anche il più insignificante particolare, è destinato a tornare a caricarsi di senso…”
Un libro che per stile e contenuti non ha eguali, un invito a fuggire con la mente per sopportare la realtà.
Il buffo poeta ambulante non è altro che una persona che crede ancora nei sogni, ma che per farsi sentire deve gridare e in questa figura ho rivisto un po’ Flavio Pagani e le sue traversie letterarie (ne potete leggere qui).
Ben vengano questi matti, le loro favole, i loro sogni. Nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno in grado di apprezzarli.

p.s. La copertina è una gioia per gli occhi, più la guardo e più mi piace.

“Ai due parve di essere costretti a scendere dalla sommità vertiginosa di una torta, dopo averne morso insieme soltanto la ciliegina.”
(Lapsus, Flavio Pagani, 2007, I sognatori)

Ho visto cose in libreria…

Arrivata in stazione un po’ in anticipo (stranissimo) ho varcato la soglia di una libreria Mondadori (argh!) per dare un’occhiatina alle novità. D’altronde in una Mondadori cos’altro vuoi trovare se non le novità?
Non so perché, ma in quella libreria che resta pur sempre il tempio dei libri, c’è un casotto costante. Le commesse chiacchierano sempre e per giunta a voce alta.
Ora, io non voglio passare per la rompiballe di turno (in effetti, lo sono), ma santa pazienza, siamo in una libreria, silenzio!
C’è molta clientela di passaggio, gente che magari deve farsi un viaggio lungo in treno e decide di acquistare un libro, gente che come me si fa un giretto in attesa di partire, eppure le due persone che sono entrate lì nel giro di cinque minuti scarsi, possono essere prese a campione.

Caso n. 1
Entra un tipo, si guarda attorno.
“Buongiorno, cercavo Caos Calmo di Veronesi. Avete l’edizione economica a 6 euro?”
“No, non c’è. Visto che è uscito il film, hanno ripubblicato l’edizione da 17.50.”
“Va bene, la prendo.”

E tu, incosciente, spendi euro 17.50 per Caos Calmo? Sarà anche un bel libro, ma perdio butti alle ortiche i tuoi soldi così? Aspetta, cerca. Quasi quasi volevo dirgli di andare in centro che l’edizione economica l’avevano perché l’ho vista.

Caso n. 2
Entra un tipo, si guarda attorno, o meglio finge di guardarsi attorno.
“Buongiorno, cercavo l’ultimo libro di…uhm…mi scappa il nome…ne ho letto una bella recensione su (invento) Corriere magazine…”
“Vediamo…si tratta per caso di (invento) Letture per stolti di Tizio?”
“Esatto!”

E qui la commessa piega all’indietro la testa, spalanca la bocca e inizia a ridere sguaiatamente. La sua risata echeggia nel piccolo locale e io cerco triglie, trote, pesce spada…no, non sono in una pescheria.

“Ah ah! Ha visto, lo sapevo! Ah, ah! Ho indovinato! (si volta verso la collega e grida) Hai visto? Ah ah!”

Forse bisognerebbe spiegare alla gentile signorina che un attimo prima elencava alla collega le sue interessantissime esperienze di vita delle quali ho preso nota dato che il volume della sua voce era un tantino spropositato, che indovinare un libro non equivale a vincere un milione di euro!
Sono uscita, inorridita.

Fnac. Per quanto ami la Fnac, devo dire che i commessi che ho incontrato io, sono sgarbati e se ne stanno tutto il tempo in panciolle. Non generalizziamo, sto parlando di quelli che ho incontrato.

Un sabato mattina
“Buongiorno, avevo ordinato un libro e visto che voi mi avete detto che è arrivato sono venuta a ritirarlo.”
Il commesso mi guarda storto e biascica: “Che libro?”
“(invento) Manuale per negligenti di Caio.”
“Cosa? Noi non abbiamo quel tipo di libro e non lo possiamo ordinare alla casa editrice, semmai dobbiamo farcelo arrivare da un’altra libreria.” (tono sgarbato e irritato)
“Sì…ma io l’ho ordinato e voi mi avete chiamato per dirmi che è arrivato qui…quindi…”
“Che libro?”
Ripeto titolo e autore, il commesso digita sulla tastiera e poi dice: “Ah sì, è arrivato.”
Ma dai?
La gente non ascolta più, proprio questo mi fa imbestialire. Il commesso elaborava la sua rispostina del cavolo, mentre io parlavo e così non ha sentito quello che dicevo.
Ovviamente quel tipo è così dalla nascita ed è molto probabile che si comporti così con tutti.
Certo è che alla Fnac non brillano per efficienza.
Sempre un sabato mattina, mentre guardavo stupita una signora che fotografava con il cellulare le pagine di un libro, una specie di manuale di yoga, è arrivato un ragazzo che ha interpellato un commesso.

“Buongiorno, ho sentito che Max Pezzali ha scritto un libro, dov’è?”
“Guarda là, nella sezione musica.”
Sorvoliamo sulla scelta del povero cliente, ma il commesso non poteva fargli vedere dov’era fisicamente il libro, invece di dirgli, in pratica, arrangiati? Ovviamente il malcapitato non l’ha trovato.
Mi faceva molta pena e mi sono interrogata a lungo circa la possibilità di dirgli dov’era il libro, visto che lo sapevo. Si trovava a un metro dal suo naso, uno scaffale più in là, e ce n’era una pila infinita accanto alla cassa, ma non potevo commettere un simile delitto. Che non lo trovasse, che rimanesse nell’ignoranza.
Per l’eternità.

Un libro alla settimana

Oggi parliamo di: Con le mani in tasca di Gianni Vesentini

cop_conlemaniintascaAmore, amicizia, ricerca della propria identità, in una parola: vita.
Di questo parla il romanzo breve di Gianni Vesentini che mi ha non poco stupito.
Un sabato pomeriggio mentre gironzolavo, la mia attenzione è stata catturata da una locandina: “Oggi alla 17.30 presentazione del libro di un giovane talento: Gianni Vesentini”.
Ovviamente mi sono catapultata all’incontro attirato da quel giovane talento e vi assicuro che il libro mi ha talmente convinto che sono proprio qui a parlarne. Avrete capito che in questa mia rubrica, io scrivo esclusivamente di libri che mi sono piaciuti, che ho apprezzato e che consiglio, ma non voglio tenervi sulle spine.
Il protagonista di questa storia è Sebastian, un giovane musicista, riflessivo, insicuro e tormentato che si muove in una Madrid appena accennata, sfocata.
L’intera vicenda si sviluppa nell’arco di poco più di una giorno (mattina, pomeriggio, sera, notte, di nuovo mattina) e ricorda il titolo di un film di Kim Ki-Duc.
Sebastian è un personaggio interessante che vive in bilico perpetuo tra ciò che dice e ciò che vorrebbe dire. Decide sempre lui cosa mostrare di sé, ma viene il momento in cui è impossibile continuare a censurarsi l’anima e il cuore.
L’unico problema è trovare il nostro vero, personale motivo di vita…” afferma ad un certo punto il protagonista e accanto a lui ad accompagnarlo nel cammino ci saranno Giulia, con cui vive un amore tenerissimo, quasi adolescenziale “…se guardi qualcosa di bello, vorresti che anche lei lo avesse visto” e Paco “ci sono poche persone al mondo […].che hanno la capacità di dirci al momento giusto ciò che per noi è bene sentire”, l’amico di sempre.
La solita storia di ragazzi? No, nel racconto di Gianni Vesentini c’è molto di più.
Riusciamo a farci spazio tra i pensieri di Sebastian, avvertiamo le sue incertezze, viviamo le sue stesse emozioni eppure c’è qualcosa che non quadra, c’è quella voce narrante “Tu, Sebastian…” che non ci lascia in pace. Chi è il narratore di questa storia? Al lettore la risposta.
Una riuscita opera prima che se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, potrebbe essere stata maggiormente valorizzata da un lavoro di editing più meticoloso (non sono un’esperta, ma certe cose le vedo).
A Gianni l’augurio di continuare a scrivere e soprattutto a pubblicare.

Come si fa a parlare di sé, se nemmeno noi stessi capiamo chi siamo e cosa vogliamo dai nostri passi.”
(Con le mani in tasca, Gianni Vesentini, 2008, Il Filo)

Trappola felina

Stai salendo le scale, sei stanca e vuoi andare a dormire quando all’improvviso ZAC! Una zampetta bianca sbuca dal nulla e cerca di afferrarti il piede aaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!
Bruschetta, la mia gattina, ama sonnecchiare sul pianoforte posizionato nel sottoscala.
Ma perché tieni un pianoforte lì sotto? – vi starete domandando. Chi lo sa è bravo. Io non ne ho la minima idea. Non ricordo neanche più quali dita abbiano profanato la tastiera…sta lì a prender polvere e Bruschetta vi si acciambella sopra.
Io non sono solita lanciare occhiate al sottoscala, quindi spesso mi capita che Bruschetta mi tenda questi propri e veri agguati e non sono mai preparata.
Non so se vi è mai capitato di sciabbattare su per le scale e un felino a tradimento tenta di acchiapparvi…puro horror, una scena da film di Carpenter o in un racconto di Poe (e la mente va a The Black Cat, da pelle d’oca se lo leggi in inglese in prima media.)
Adesso, per esempio, sono scesa giù di corsa perché Polly stava trascinando in giro per casa un cassetto.
Sì, ho detto proprio cassetto. Lo ha estratto dal mobile e lo stava portando a fare un giretto.
Rimediato al danno, ho salito le scale per tornare in camera mia e con la coda dell’occhio vedo Bruschetta appostata sul pianoforte, pronta a colpire. Mi prende il panico. Che faccio? Salgo o scendo? Tengo la destra o la sinistra? Salgo gli scalini due a due?
Avevo veramente paura di quella zampetta bianca e malefica, la vedevo già lì che si avvicinava al mio piede, perciò ho chiuso gli occhi e ho corso come una dannata, scalino dopo scalino, verso la libertà…ma voi vi siete mai chiesti perché nei film l’inseguito va sempre verso l’alto?

Un libro alla settimana

Oggi parliamo di: Altrove da me di Lucilla Galanti

altrove da me
Della trama non posso dirvi, né vi dirò molto, per tre motivi: non voglio svelare colpi di scena, non amo esporre le trame e, motivazione fondamentale, è oltremodo riduttivo condensare in poche righe una vicenda che ha a dir poco dell’incredibile.
Per il lettore insaziabile che reclama perlomeno un briciola di storia, mi limiterò al solo prologo che, di fatto, è una scintilla.
La protagonista dichiara di essere affetta da
Disagio (scritto proprio in questo carattere) “questa strana malattia progressiva e finora sconosciuta”. Il Disagio è una presenza costante nella vita della ragazza e lei ne è ossessionata. Basta scorrere le pagine per trovare questa parola scritta più e più volte. L’effetto è un pugno dapprima nell’occhio poi nello stomaco.
La narrazione è in prima persona, la protagonista registra tutto ciò che le accade e si soffre non solo con lei, ma come lei. Attenta a tenera a debita distanza quasi tutti, (se stessa, i genitori, del padre dice:”[…] quell’uomo che nonostante la vicinanza biologica non era per me che un perfetto estraneo”), trascina il lettore nel suo malessere.
È un libro inquietante, malato, disturbato, delirante, grottesco. Lucilla Galanti non ci risparmia
nemmeno le descrizioni più raccapriccianti ed è impietosa nel delineare situazioni facilmente riscontrabili nella vita di tutti i giorni. Difatti i piccoli eventi che sulla pagina si mescolano sono come il riflesso di una lente d’ingrandimento e servono per mettere in discussione noi stessi e gli altri.
Strani i personaggi che popolano questo romanzo. Vanno e vengono, ritornano dall’aldilà per una breve visita, forse esistono, forse non sono mai esistiti. Il confine tra realtà e irrealtà qui non è solo labile, non c’è proprio!
Scappa pure qualche sorriso. La protagonista è solita girovagare di notte con delle babbucce ai piedi “[…] una sorta di pantofole, lana fuori e pelo dentro […] e con sotto una gomma piuttosto resistente che dava per metà l’aspetto di stivale da giardinaggio […] ma siccome il giardinaggio non mi era particolarmente consono, decisi di utilizzarle per il passeggio notturno.” Per non parlare dei nomi degli animali. Il cane del Saggio (personaggio pazzesco) si chiama Can e il gatto della protagonista, Gatto fa una brutta fine. Addentratosi nel balcone di casa diventato una discarica a cielo aperto (la nostra girovaga in babbucce non ha un buon rapporto con l’ordine e la pulizia) muore: “Gatto l’ho lasciato lì dov’era, morto, e saperlo vicino mi fa ancora compagnia ogni tanto.
L’autrice sconfina in territori nuovi con la sua scrittura per accompagnare il tema del doppio che s’infila di continuo nella narrazione. La protagonista interroga di continuo la sua parte razionale e irrazionale, si assiste a trasformazioni continue e imprevedibili, in un crescendo di pathos ed esasperazione.
Non è un libro facile, né per il lettore, né per chi ora sta cercando le parole giuste per raccontarlo. È una bella sfida quella che ci lancia la scrittrice perché se i libri sono scrigni che lentamente si schiudono per rivelarci la loro luce, il libro di Lucilla Galanti è avvolto dalle tenebre e solo qualche fulmine improvviso e inaspettato che con intensità lacera la pagina, può illuminarci per brevissimi istanti.

“Io amo il tramonto perché porta notizia di qualcosa che sta finendo.”
(Altrove da me, Lucilla Galanti, 2008, I sognatori)

Da non perdere

Santo cielo, ma cosa fai ancora lì? Ti consiglio di alzare il tuo bel culetto dalla sedia e di correre a Verona per la rassegna di film d’autore "Schermi d’amore". Film bellissimi che non passeranno mai nelle solite sale cinematografiche, con traduzione simultanea in cuffia!
Guarda, puoi sfondarti di film, tanto ne proiettano dalla mattina alla sera! Fidati, non te ne pentirai!

Elegantissimi

All’entrata un nonno e un nipotino.
Giovani e meno giovani, ma tutti ugualmente fansss.
C’è fermento, tutti s’inseguono come formiche alla ricerca del posto.
Attendiamo ansiosi le sopracciglia di Elio, le incursioni di Mangoni, il faccione di Cesareo, l’ironia di Faso, il tocco geniale di Rocco Tanica, lo scatenato Christian Meyer, l’imperturbabile Jantoman.
Avete capito di chi sto parlando…loro, gli unici, i mitici, inimitabili, Elio e le Storie Tese.
Questa è la mia quarta volta, ma è sempre come la prima volta.
La tensione per il nuovo disco mi fa scoppiare le vene. Chi canterà in duetto con Elio? Ci priveranno del piacere di ascoltare dal vivo Plafone, Ignudi fra i nudisti, Heavy Samba?
Le domande tante, il luogo insolito.
Non è un palazzetto, un palatenda, una piazza, è un ex bingo trasformato in locale da concerti con poltroncine troppo comode, troppo morbide, troppo grandi e io torno bambina perché con i piedi non tocco per terra. Questo posto è lo specchio di questa dannata città in cui vivo, ma non importa gli Elii lo sapranno trasformare in un vero circo.
Sono pronta a farmi sconvolgere da questi geni della musica, da questi funamboli del pentagramma, da questi trapezisti del ritmo, da questi pazzi scatenati a cui se potessi farei una statua.
Ricordo Elio vestito da boyscout, da boscaiolo…ma ora si inizia: sono elegantissimi.
Sfoggiano gli abiti del Dopofestival, sul palco c’é Paola Folli e la sua splendida voce, il dubbio sui duetti scompare.
Non c’è vestito che tenga, Elio è una bestia da palcoscenico.
Risate, classico coro “forza panino”, Supergiovane che si lancia giù dal palco e sfiora correndo la mano del mio ragazzo. Ironia, talento, genio.
In una parola: mitici.

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Da sballo

SvegliaHo la sveglia sballata. E’ indietro di un’ora da una settimana perché non riesco a cambiare l’orario. Continuo a schiacciare i tastini, set, mode, alarm, clock, drin drin, tic toc, auhhhhhhhh, plin plon, big geng, ma niente.
Così ieri ci ho appiccicato un piccolo post-it che dice: UN’ORA AVANTI.
E’ una settimana che vado a letto tardi perché dico – oh, sono solo le undici – eppure lo so che l’orario è sballato perché prima di addormentarmi, stranamente stanca, imposto la sveglia sul cellulare che ha l’orario aggiornato.
Che qualcuno mi dia una mano.