Grazie

Succede così: qualcuno spalanca la porta e ti dice "ho sentito alla radio che è morto Tullio Kezich" e tu senti il gelo anche se ci sono 40 gradi. Se n’è andato uno dei più grandi.

Il mio primo viaggio in treno

polly_treno
pungola: – Polly, ci racconti cosa hai fatto oggi?
Polly: – Con molto piacere. Oggi, per la prima volta, ho viaggiato in treno.
– Com’è andata? Confessa…hai avuto paura?
– Mi ritengo soddisfatta dell’esperienza. Si è trattato di un breve viaggio, venti minuti soltanto, una bazzecola per una come me che a due mesi o poco più ha lasciato mamma Sole al Sud per venire al Nord. Sono sempre in giro: Valtellina, Alto Adige…
– Ci risulta che per salire a bordo hai avuto bisogno di una piccola spinta…
– In effetti appena il treno è arrivato mi sono spaventata, io abbaio anche al furgoncino del panettaro! Fortunatamente la mia padrona mi ha issato sul vagone e abbiamo preso immediatamente posto. Poca gente, uno spagnolo voleva accarezzarmi.
– Come ti è sembrato il servizio offerto da Trenitalia?
– L’aria condizionata mi ha piacevolmente stupito, non è facile per una cagnetta a pelo lungo resistere a questi calori. Una ragazza cinese ci ha chiesto dov’era il bagno, ma non abbiamo saputo risponderle, in effetti il wc non era segnalato. Avrei da ridire sulla pulizia, ma meglio lasciare stare.
– Vuoi aggiungere un’ultima cosa?
– Come vedete non è difficile portarci in vacanza e se siamo educati possiamo venire ovunque. Voglio fare un appello: non abbandonateci, ma soprattutto fateci entrare in più bar, ristoranti, alberghi e condomini.

Dove scrivi?

Siete curiosi di sbirciare i rifugi di scrittura? Potete far di meglio: scattate una foto ai vostri e mandatela allegando, se vi va, una breve nota. Tutte le foto verranno pubblicate sul sito dell’associazione CaRtaCaNta.
Da un’idea del nostro Alberto:


Un posto per scrivere

Leggera e fresca come una bibita da sorseggiare sotto l’ombrellone, arriva la rubrica di mezza estate. Avete un angolo, nella vostra casa in città o nel vostro alloggio vacanziero, nel quale ritirarvi per scrivere? Vi capita di estrarre il portatile o il notes al tavolo del bar, nel foyer di un albergo o nella sala d’attesa di un aeroporto? Scattate una foto (in formato .jpg) e inviatela a info@cartacantalab.com. La pubblicheremo sul sito. E se avete qualche notarella da allegare, ben venga. Sarà un modo per tenerci in contatto, per inviarci una cartolina di saluti, un espediente obliquo per parlare di libri, di scrittura e sbirciare dietro le quinte della vostra attività creativa.

http://www.cartacantalab.com

Da vedere

gview.miniaturaLa debole corrente, 2008 di N. Leghissa – documentario

Nell’estate rovente si scova qualche perla rara come il documentario “La debole corrente” di Nicole Leghissa presentato nell’ambito della manifestazione “Ma che estate 2009” a Verona.
Nella seconda metà dell’Ottocento, Pietro Savorgnan di Brazzà esplora la sconosciuta Africa, più precisamente il Congo, tanto che la capitale Brazzaville porta ancora il suo nome.
Intento della regista era appunto portare sullo schermo la vita di questo avventuriero a piedi nudi che non usò la forza o la violenza e che, si dice, morirà pensando alle terre amate sconvolte dall’avvento dei conquistatori, sennonché nel 2006 i fatti prendono una piega inattesa. Su ordine del dittatore Denis Sassou Nguesso i resti di Brazzà vengono riesumati e trasferiti in un gigantesco mausoleo a Brazzaville. I congolesi assistono all’ennesimo sopruso del dittatore accompagnato da altri potenti, come l’allora presidente della repubblica francese Chirac, in una città che è una fogna a cielo aperto, ma dove il petrolio conta più di ogni altra cosa.
Con la collaborazione di Paolo Rumiz e le testimonianze di giornalisti e di alcuni discendenti dell’esploratore, il tratteggio dell’affascinante figura di Brazzà cede il passo ai meccanismi per noi imperscrutabili dei giochi di potere che si nascondono dietro una stretta di mano. Due esempi: il mausoleo in marmo di Carrara accostato alla scuola dedicata a Brazzà che cade a pezzi e non ha servizi igienici; le piattaforme petrolifere e le baracche dove vivono i congolesi.
È un documentario di alto livello sia per forma che contenuto, davvero da vedere e rivedere.

Non ci resta che ridere

In tanti mesi di ricerca, mi sono imbattuta nei più assurdi e bizzarri annunci. Quelli delle agenzie immobiliari non si distinguono per originalità, ma riservano sorprese al momento del sopralluogo, poi ci sono quelli dei privati che spulcio con avidità. Questi due (l’autore è lo stesso) li battono tutti.
Il più triste:
“Privato affitta graziosa indipendente taverna con ingresso, soggiorno con angolo cottura, lavatrice e nuovo divano letto matrimoniale, molto adatto a persona sola.”
Il più divertente:
“Affittasi garage in ambiente signorile e serio, euro 100 mensili. Solo referenziatissimi.”

Vota pungola!

Ho partecipato al concorso “Scrivere di cinema”. Se vi va di leggere la mia recensione e volete addirittura votarla, seguite queste istruzioni (dato che Mymovies vuole rendere la vita difficile al prossimo):

1 – accedi alla pagina web
http://scriveredicinema.mymovies.it/premi/
dallapartedelpubblico/vota/?id=55535
La mia recensione è l’ultima in fondo alla pagina vedi "Recensione dell’utente pungola per il film Milk"

2 – registrati utilizzando l’apposito pulsante giallo posto in alto della pagina delle recensioni
N.B.: nei dati richiesti successivamente a nome cognome ecc, per la partecipazione a “Scrivere di cinema”, indicare Under 28. Riceverai una mail per la conferma della registrazione. Clicca per confermare.

3 – Torna alla seguente pagina,
http://scriveredicinema.mymovies.it/premi/
dallapartedelpubblico/vota/?id=55535

accedi e aggiorna la pagina. Sotto alla mia recensione dovrebbe comparire il pulsante Vota pungola (ultima recensione, in fondo alla pagina). Seleziona le stelle (magari 5 ih ih!).


Se non mi voterete, vi vorrò bene lo stesso, ma fatemi un piacere: mettete in galera l’ideatore di questo guazzabuglio del cavolo!

Grazie.

Dalla sala per voi

wThe wrestler di D. Aronofsky, USA 2008

Non l’avevo visto a Venezia, avevo perduto l’uscita in sala, l’ho recuperato in un cinema all’aperto con un irritante proiettore infilato nei timpani (“ma dài senti che bello, non ti ricorda Nuovo cinema paradiso? No! Io sento solo TATATATATATATATA!!!)
Aronofsky accende i riflettori sullo scampolo di vita di una vecchia gloria del wrestling, Randy soprannominato The ram, che sfida altri ex lottatori in tristi palestre pur di racimolare qualche soldo. Non a caso ho parlato di “scampolo di vita” perché non esistono flashback sulle imprese del lottatore (se non un collage di articoli sui titoli d’apertura), la narrazione è lineare ed è il ritratto di un uomo solo, sconfitto che tenta di non cedere il passo all’inesorabile scorrere del tempo.
Non dico niente di nuovo, visto che è stato presentato un anno fa, sottolineando che la finzione è nella forma più che nella sostanza, difatti il protagonista è un devastato Mickey Rourke che ne ha combinati di casini tra dipendenze e pugilato.
É uno dei rari casi in cui l’attore non recita, ma “è”. Il regista lo dichiara in innumerevoli inquadrature che seguono il protagonista nuca nuca. Tutto è funzionale al personaggio, persino il pubblico che partecipa agli incontri/scontri metafora di un’impietosa società che ti mastica e ti sputa. Anche i comprimari, tra cui la strip dancer interpretata da Marisa Tomei, che gravitano nell’orbita di Randy vivono nell’ombra di quello che erano.
Storia di sconfitte e pentimenti, The wrestler è uno dei migliori film dell’anno e affonda nel solco, che si spera diventerà presto una voragine, di un cinema non più rassicurante.

Tutto il resto é noia

Giorni fa mi è capitato di leggere le recensioni di un tizio che aveva visto una marea di film in cineclub e chissà dove, film da “fuori orario” per intenderci, che progetto di vedere quando avrò una casa mia e soprattutto un televisore che riceve i canali rai.
Nella lunga sfilza di film visionati, spesso saltava fuori un “palloso”, “noiosissimo” e via dicendo.
Sebbene le recensioni fossero eccellenti tanto che alcuni film li voglio guardare pure io, quei “pallossissimi” m’infastidivano. Pur convinta che il ritmo sia fondamentale, soprattutto al cinema, detesto dire che il film non mi è piaciuto perché noioso e quando l’ho fatto me ne sono sempre pentita. Credo che ogni film, mi correggo ogni buon film, abbia un “ritmo interno” e il compito dello spettatore attento sia coglierlo (perfetto sarebbe se oltre che spettatore attento fosse persona sensibile che cerca di capire il ritmo interno di ogni altro essere umano, ma chiedo troppo).
Bollare un film come “palloso” mi è sempre sembrato riduttivo e pure un po’ ignorante, ma ultimamente posso dire di aver visto film pallosissimi.
Ieri sera ho visto Niente da nascondere – Caché di M. Haneke, 2005 (già regista di Funny games). Georges è un famoso conduttore di un programma televisivo sui libri, vive a Parigi in un’elegante casa con la moglie e il figlio. Un giorno riceve una videocassetta anonima; qualcuno l’ha ripreso a sua insaputa. I delicati equilibri interni della famiglia all’apparenza perfetta iniziano a sfasciarsi, le cassette si accumulano. Chi è il mittente?
Detto così sembra un thriller da togliere il fiato, purtroppo è uno dei film più noiosi, artificiosi, inutili finora visti. Non voglio rivelare il finale, mi limito a dire che il regista toglie la maschera a Georges per dimostrare che non è cambiato, che è rimasto il bambino bugiardo che era. Per trasmettere questo fondamentale messaggio, ci ammorba per un numero infinito di minuti con inquadrature fisse, sguardi assenti, accennando particolari per farcire una storia che, di fatto, non esiste. In Niente da nascondere non succede assolutamente niente, non è un film, è un capriccio da regista.
Solo per dimostrare che “palloso” è l’aggettivo adatto e, in questo caso, riduttivo.
Film di diversa natura, ma il cui “ritmo interno” ticchetta dentro lo spettatore, esempio di come la storia si dipani lentamente senza mai mollare l’appiglio dell’attenzione è, a parer mio, A tempo pieno – L’Emploi du temps di L. Cantet, 2001.

Oggi sciopero

La disfatta dei decibel

Ieri sera, come preannunciato, ero a Milano per gli U2.
Mi spiace dirlo, ma ogni concerto degli U2 è una cocente delusione.
2005, Vertigo Tour, Milano: inferocita, tornando verso il parcheggio, mi chiedevo perché il concerto degli U2 era andato da cani. Era la mia prima volta a San Siro e imputavo la “disfatta” alla location (gli stadi seppur capienti non sono il luogo adatto per i concerti) e alla mia posizione sfavorevole (arrivata con un certo ritardo ero troppo laterale). Impossibile che Bono avesse cantato maluccio o che fonici e tecnici non avessero tarato il suono. Ero disgustata e per un paio d’anni ho archiviato il gruppo.
Mai avrei voluto tornare a San Siro, ma il mese scorso c’erano i Depeche Mode e ho detto “riproviamoci”. È andata benissimo e non dimenticherò mai il deliro che si è scatenato con Personal Jesus. L’acustica mi è sembrata ottima sempre tenendo conto che ero in uno stadio, insomma non c’era da lamentarsi.

2009, 360° Tour, Milano: questa volta arrivo con largo anticipo e alle quattro sono davanti ai cancelli, scelgo un buon posto. Il palco è spettacolare e grandioso, una struttura del genere non si era mai vista: è tondo, visibile a 360° con schermi giganteschi sovrastato da quattro tentacoli alti all’incirca 40 metri, si annuncia uno spettacolo con il botto. Verso le otto si esibiscono gli Snow Patrol. Il volume è leggermente basso, ma la voce del cantante è chiara. Poco dopo le nove in un tripudio di luce gli U2 attaccano e…cadono le braccia. Il rimbombo è assordante, i timpani saltano, non si capisce se Bono canti o boccheggi sul microfono. Alcune canzoni diventano irriconoscibili dal frastuono che si leva, l’unica è guardare le immagini sul megaschermo che se non altro intrattengono.
Io non sono un esperto, né un tecnico, ma qualche problema a livello di suono deve esserci se la resa è questa, se gli Snow Patrol e ancor prima i Depeche Mode si sentivano chiaramente e invece gli U2 fanno saltare i nervi.
A qualcuno sarà bastato “esserci”, altri avranno provato l’incontenibile gioia di cantare in compagnia di ben 77.000 persone, altri ancora saranno rimasti impressionati dalla struttura del palco, dalle luci. Per quanto mi riguarda, la cosa che m’interessa quando vado a un concerto è sentire le canzoni dal vivo e se questo viene ostacolato dal volume assordante, gli schermi, le mille luci colorate che distraggono più che coinvolgere, trasformano quello che poteva essere un memorabile concerto, in uno spettacolo circense, buono per incantare tanti, ma deludente per chi era venuto per la musica, la cosa, in teoria, più importante.