Grandissimo Citati

Parte dell’intervista a Pietro Citati, in occasione dell’uscita del libro “La malattia dell’infinito”, andata in onda su Fahrenheit.

Sinibaldi: – È cambiato molto da allora nella letteratura e nella lettura?
Citati: – È cambiata la letteratura perché è molto inferiore a quella di allora. Allora venivano pubblicati dei capolavori ogni anno, oggi non ce ne sono quindi è la qualità della letteratura che è diminuita. È aumentato il pubblico, ma questo pubblico legge in gran parte libri brutti. E poi è cambiata la società letteraria, non esisteva propriamente una società letteraria allora, esistevano molto individui che erano amici, nemici, oggi esistono invece dei gruppi.
– Comincia nel 63?
– Il 63 non era un gruppo così grande, così compatto. Oggi i gruppi esistono senza avere un’etichetta, senza avere un’idea della letteratura, sono gruppi di persone legate tra di loro da amicizia o da complicità.
– Leggendo questo testo pare che di capolavori ne escano ancora…Alice Munro, un libro di Orhan Pamuk “Il mio nome è rosso”…
– Ne escono alcuni, non con la stessa frequenza di un tempo e poi non sono capolavori di quella forza. Ora, Pamuk è un eccellente scrittore, ma non è Müsil, non è neanche Mann, non è Faulkner, né Proust e neanche Kafka. La letteratura degli ultimi trent’anni è rispetto a quella dei primi settant’anni del secolo, una letteratura abbastanza diminuita.
– Eppure Pamuk ha vinto il Nobel.
– Beh, non ci vuole nulla per vincere il Nobel, hanno vinto il Nobel grandi imbecilli…
– L’ultimo Nobel l’ha un po’ stupita?
– L’ultimo Nobel è di una nullità tale…
– In Francia lo considerano uno dei loro maggiori scrittori viventi.
– No no, ma poi sa in Francia hanno così poco che devono cercare di sottolineare il poco che hanno.
– Lei non stronca più, esistono solo stroncature da giovane?
– Io ho stroncato parecchio quand’ero giovane. Ho cominciato a scrivere come critico militante a 25 anni e ho fatto stroncature fino a 38 e ne ho fatte molte con gran gusto, con gran divertimento ed erano stroncature terrificanti. Ora non le farei più, non mi diverte più per niente parlar male di un libro. Se non mi piace lo butto via, lo butto dalla finestra, ci sono tanti libri belli di cui parlare.
– Però lei ha una tecnica che quando parla bene di un libro spesso infila un riferimento a un libro brutto…nel bel testo su Alice Munro coglie l’occasione per dire una cosa su Philip Roth che è un totem contemporaneo.
– Io non credo che Philip Roth sia sopravvalutato, mi sembra che “Lamento di Portnoy” sia un brutto libro, però la prima parte di “Pastorale americana” è bellissimo quindi è uno scrittore, è un vero scrittore.

– Ho cominciato a scrivere tre giorni fa un libro su Leopardi.
– Lei come fa?
– Prima leggo, rileggo e rileggo e prendo appunti. In questo caso credevo fossero 9000 le pagine di appunti e invece erano solo 8500, molte di meno.
– Stanno in una scatola?
– Sono messi in scatole da scarpe e poi sono letti e così faccio una sistemazione del materiale, uno schema del libro e poi mi metto a scrivere. A questo punto succede sempre la stessa cosa: ho dei mesi di cattivo umore, questo libro mi verrà male, non sarò capace a farlo, che noia leggere i miei appunti, poi a un certo punto decido, anche se venisse Leopardi in persona qui a bussare alla porta e mi spiegasse l’Infinito lo caccio via e mi metto a scrivere e a questo punto lo faccio con grande velocità, difatti in tre giorni ho scritto trenta pagine, che è un bel ritmo.
– Sarà un grande libro?
– Quello ha voglia di diventar grosso, cerco di tagliare piedi, unghie e naso ma ha voglia di diventar grosso.

– Lei apprezza molto i racconti, le scrittrici di racconti la Munro, la Blixen, la Mansfield. È un genere considerato un po’ minore, difficile da maneggiare.
– Čechov, cosa c’è di più bello de “La steppa”, sublime, bello come “Guerra e pace”. La difficoltà di scrivere un racconto, fare la struttura di un racconto, scorciare, saltare. L’arte più difficile in letteratura è omettere, tagliare e un racconto si fa con delle omissioni e dei tagli.
– L’ha capito dopo tutti questi anni che legge e scrive, cosa occorre per essere scrittore?
– É misterioso, certo l’intelligenza non basta. Ci vuole infinita immaginazione, infinita fantasia, senso dell’inverosimile, senso del verosimile, senso del concreto, senso dell’astratto, ci vogliono qualità che fanno a pugni tra di loro.

(nota: dopo aver ascoltato l’intervista, ho trascorso ore terrificanti a chiedermi chi fosse Elis Marrow, questa è la pronuncia. Mai sentita nominare.
In seguito a un’ardua ricerca in internet – soprattutto perché inserivo il nome errato – ho scoperto che si trattava di Alice Munro, di cui ho letto un libro. Vergognosa ignoranza.)

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